Di Antonio Zoppetti
Quando nel 2016 stavo scrivendo il mio primo libro sul fenomeno dell’anglicizzazione, otto anni fa, l’obiettivo era dimostrare con i numeri e le statistiche tratte dallo spoglio dei dizionari che cosa stava succedendo alla lingua italiana, visto che i linguisti, a parte qualche caso sporadico, negavano che l’interferenza dell’inglese fosse preoccupante senza però quantificare il fenomeno, come in teoria avrebbero dovuto fare.
Per questo ne avevo confutato le tesi e li avevo etichettati come “negazionisti”, una parola che avevo introdotto tra virgolette specificandone il senso, anche se alcuni di loro si sono piccati per questo mio giudizio, che invece rivendico con convinzione, soprattutto con il senno di poi.
Nel frattempo ho dato vita al Dizionario delle Alternative Agli Anglicismi (AAA) proprio con lo scopo di raccogliere, spiegare e offrire sinonimi e alternative alle parole inglesi registrate dai dizionari che però non affiancano agli equivalenti italiani (almeno quando ci sono).
Il problema principale di questo lavoro, attualmente, è che ho escluso almeno un migliaio di segnalazioni, arrivate dai lettori, di parole inglesi la cui stabilità e diffusione non è sufficiente per annoverarle nel dizionario. Il criterio di accoglimento si basa essenzialmente su due fattori: la frequenza delle parole nei corpora giornalistici e la registrazione nei dizionari monovolume (soprattutto Zingarelli, Devoto Oli e Gabrielli) che a loro volta si basano sulle frequenze giornalistiche e in altri corpora considerati rappresentativi.
Il fatto è che l’interferenza dell’inglese è ormai tale da travalicare completamente il concetto di “prestito linguistico”, una categoria che non è soltanto assurda dal punto di vista logico, ma sempre più inadeguata anche per spiegare cosa sta succedendo. Siamo ormai in presenza non più di qualche parola inglese che viene adottata e si stabilizza nel lessico italiano, ma di un riversamento dell’inglese incontenibile, formato da:
– una nuvola di parole ed espressioni inglesi – spesso sporadiche o “usa e getta” – di un ordine di grandezza superiore ai circa 4.000 anglicismi registrati dai dizionari (cfr. “La panspermia del virus anglicus”);
– una serie di ricombinazioni di radici inglesi che producono pseudoanglicismi (smart working invece di home working) e ibridazioni ortodosse o maccheroniche (cfr. “L’inglese nell’italiano: espansione per ibridazione”);
– porzioni di inglese ed enunciazioni mistilingue sempre più frequenti e complesse, che cominciano a includere persino i primi verbi;
– una grammatica inconscia e istintiva che porta a un modello o stilema linguistico che si può definire itanglese.
Per capire cosa sta accadendo non resta che analizzare qualche caso concreto e reale della comunicazione quotidiana.
L’inglese e l’itanglese al vertice della “diglossia lessicale”
Analizziamo un volantino di una camminata con il proprio cane:
Il titolo di ogni manifestazione è ormai in inglese, non importa se si tratta di eventi internazionali come la Fashion Week o Design Week milanese o una saga di paese.
Dunque una manifestazione di beneficenza è Charity, una passeggiata o camminata è Run (i corridori sono runner, e il podismo o una corsetta è jogging), e farsi una fotografia è shooting (in origine era un servizio fotografico). I cani sono diventati Dog(s), e del resto il main sponsor si occupa di pet foods, e il suo motto è Happy pet, Happy You (da notare l’abuso delle maiuscole all’americana). Nella comunicazione sono introdotti verbi esortativi che contengono anche i pronomi in inglese: Scan me, Follow us. Tutto ciò travalica gli anglicismi registrati nei dizionari.
Persino le camminate o i pellegrinaggi per la Madonna di San Luca diventano “Run for Mary”, su una testata denominata “Bologna Today”, mentre una pubblicità sulla stessa pagina promuove le Happy Card, e ancora una volta tutto ciò non esiste nei dizionari.
Interessante vedere la definizione di Happy Card su un sito che tratta questi nuovi buoni acquisto:
“La Happy Card è una Gift Card che dà accesso alla nostra Piattaforma online. Su questa Piattaforma, gli utenti possono trovare e scaricare:
Buoni Spesa
Buoni Carburante
Buoni Acquisto dei marchi più noti
A cosa serve:
Con la nostra Happy Card, hai a disposizione l’opzione perfetta per soddisfare le esigenze della tua azienda. Potrai risparmiare mentre offri Fringe Benefit ai tuoi dipendenti o premi ai collaboratori, contribuendo così a far crescere il tuo business”.
In questa comunicazione (74 parole di cui 10 in inglese, dunque una su sette, più o meno, e ancora una volta l’abuso delle maiuscole travalica le regole dell’italiano) colpisce scoprire che una Happy Card non è un buono acquisto, ma è una Gift Card…
Cambiamo esempio. Ultimamente il Corriere sta ripubblicando le vecchie prime pagine con gli avvenimenti storici (e leggendoli è sorprendente ricordarci di quando i giornali erano scritti in italiano). In occasione dello scudetto dell’Inter che ha portato alla doppia stella sulla maglia è stato riproposto il titolone del 1966 quando la squadra ha ottenuto la prima stella; l’analogo del 2024 punta a un gioco di parole in inglese che ammicca a un film, mentre la cartellonistica pubblicitaria della squadra si vanta in inglese con il motto: I M 2STARS.
Concludo con qualche notizia di questi giorni.
A Milano una manifestazione denominata Milano Civil Week si occupa di parità, congedi mestruali e diritti civili, ma nessuna pari opportunità è prevista per la lingua: come al solito c’è solo la dittatura dell’inglese a regolare la nomenclatura di simili iniziative, e ancora una volta né civil né week sono anglicismi registrati dai dizionari (e usare l’inglese invece dell’italiano non ha nulla di “civile”).
Anche le tasse sono ormai tax: e le nuove espressioni istituzionali scardinano l’ordine sintattico dell’italiano storico: sugar e plastic tax.
Quanto a cluster è da anni che l’anglicismo penetra ovunque nei linguaggi di settore: nel gergo bellico si parlava di bombe cluster (cluster bomb) che in italiano sarebbero a grappolo; in astronomia sono ammassi globulari; in informatica indica un’interconnessione di dispositivi; e durante la pandemia la parola inglese – visto che la medicina e la scienza parlano ormai in inglese – ha fatto il salto dal settore alla lingua dei giornali, e questa parola è diventata sinonimo di focolaio.
Il punto di non ritorno
Siamo arrivati al punto di non ritorno. Dopo l’epoca degli anglicismi è arrivata quella del riversamento dell’inglese in modo ben più schiacciante. L’itanglese è diventato un preciso modello linguistico che travalica il concetto di prestito e si configura come una newlingua che viene imposta dall’alto (la gente non parla di certo così) che si sta sostituendo alla veterolingua come in 1984 di Orwell. I negazionisti che fino a ieri, a proposito dell’anglicizzazione, parlavano di “allarmismi ingiustificati” o che ci spiegavano che “è tutta un’illusione ottica” come nel caso della “temperatura percepita”, e che verrà un giorno che torneremo a dire “tesserino” invece di “badge”… sono ormai spazzati via dalla realtà che fanno finta di non vedere, e il nuovo fronte degli anglomani sta cambiando strategia.
Invece di “negare”, la tendenza è oggi quella di rivoltare la frittata e di proclamare l’inglese, l’itanglese e le ibridazioni come il nuovo “italiano”, e di sparare idiozie per cui le ibridazioni – che l’Académie française ha bollato come chimere, cioè mostri che non sono più né francesi né inglesi – sarebbero “un esempio di vitalità della lingua, che in questo modo mostra reattività e capacità di integrare elementi estranei nel proprio sistema”. Peccato che questa vitalità appartenga all’inglese, non certo all’italiano che regredisce, visto che le sue regole storiche di ortografia e pronuncia vanno in frantumi. Non c’è alcuna “integrazione”, questa passa semmai per la traduzione o l’adattamento. Per questi linguisti descrittivisti – che si potrebbero sostituire più efficacemente con un algoritmo – l’italiano non ha una sua identità, è semplicemente la somma degli anglicismi e del riversamento dell’inglese che si trova sui giornali, come se una parola inglese e italiana fossero intercambiabili senza problemi. E questi stessi negazionisti hanno anche il coraggio di mistificare le cose sostenendo che la lingua arrivi dal basso e dalla gente, invece di ammettere che la dittatura dell’inglese – la lingua dei padroni – è imposta dall’alto, ed è una lingua elitaria, aristocratica e classista, che crea fratture sociali e generazionali e rappresenta uno strappo dall’italiano storico, che in questo modo si uccide.