Marco Biffi, la diglossia e la lingua di Marinella

Di Antonio Zoppetti

Voglio riprendere un articolo dell’accademico della Crusca Marco Biffi uscito qualche tempo fa sul Corriere fiorentino intitolato “Se l’italiano diventa la lingua «bassa» a causa di scelte miopi”.

L’autorevole linguista ci ricorda che la lingua italiana è diventata un patrimonio di tutti solo negli anni Settanta del secolo scorso, visto che per centinaia e centinaia di anni è stata solo una lingua letteraria che viveva nelle pagine dei libri, mentre la gente si esprimeva fondamentalmente nel proprio dialetto.

La nostra storia linguistica è sempre stata caratterizzata da un bilinguismo squilibrato, cioè dalla presenza di due lingue che non avevano un uguale status, ma possedevano una precisa gerarchia. Il toscano, che si è affermato nella letteratura per motivi di prestigio e che dal Cinquecento in poi è diventato il canone imposto dalle grammatiche e dai vocabolari, era la lingua colta, mentre le altre varietà dei volgari, regrediti allo stato di “dialetti” (lingue “inferiori”) erano la lingua del popolo.

Questo “toscano” fatto coincidere con l’italiano, per i puristi avrebbe dovuto seguire i modelli aurei delle tre corone fiorentine trecentesche – Dante, Petrarca e Boccaccio –, per altri era invece il fiorentino vivo delle classi colte, come nella soluzione manzoniana del sciacquare i panni in Arno. Prima ancora del toscano, nel Medioevo, era il latino a essere la lingua della cultura e della scrittura con cui l’italiano-toscano ha dovuto scontrarsi nella sua affermazione, e ancora una volta, nella diglossia medievale, il popolo perlopiù analfabeta si esprimeva in volgare e non aveva accesso alla lingua “alta”.

In questo modo solo una parte della popolazione era bilingue, mentre la maggior parte era soltanto dialettofona, e la lingua italiana standard era confinata solo in alcuni contesti. (…) Ci sono voluti secoli per arrivare con fatica a una lingua per tutti gli italiani”.

E dopo questa difficilissima e tortuosa conquista, oggi cosa sta accadendo?

Il prestigio dell’inglese e soprattutto le “scelte miopi” della nostra classe dirigente stanno lavorando per riportarci a quella che il linguista tedesco Jürgen Trabant chiama la diglossia neo-medievale a base inglese. Questa è la nuova lingua della scienza, delle tecnica, del lavoro e dei piani alti. Ma la conoscenza dell’inglese riguarda solo una minoranza della popolazione italiana, europea e mondiale, e di nuovo il popolino ne è escluso. Dunque nel giro di meno di mezzo secolo dall’unificazione linguistica

“il nostro tessuto politico, economico e (ahimè) culturale, promuovendo l’uso dell’inglese a discapito dell’italiano (…) si ingegna per costruire, stavolta a tavolino, un bilinguismo con diglossia inglese/italiano, in cui l’italiano è la varietà «bassa». Politiche riconducibili a tutto l’arco costituzionale stanno da anni spingendo in questa direzione, all’inseguimento di un internazionalismo vuoto e miope che non ha rispetto del valore identitario di un bene culturale prezioso come la lingua. Come un ragazzo segue un aquilone. E così la lingua di tutti gli italiani, come Marinella, finirà per scivolare nel fiume a primavera. «E come tutte le più belle cose», sarà vissuta 40 anni, «come le rose».”

Finalmente qualcuno denuncia in modo lucido e senza esitazioni ciò che sta accadendo – come cerco di fare da anni anch’io – e soprattutto cosa accadrà tra non molto, se non si interviene.

La regressione dell’italiano

Facciamo il punto sulla situazione.
La regressione dell’italiano davanti all’inglese parte dalla scuola. Se un tempo l’italiano era una materia primaria e centrale, oggi questo ruolo è scemato, ed è l’inglese che è divenuto il perno della nuova cultura che si vuole istituzionalizzare. Tutto ciò è iniziato ai tempi delle tre “i” di Berlusconi-Moratti (Internet, Inglese, Impresa) su cui la scuola doveva puntare. L’insegnamento dell’inglese è stato introdotto sin dalle elementari per creare le nuove generazioni bilingui progettate a tavolino, e se un tempo si studiava una lingua straniera, oggi l’inglese è obbligatorio e ha cancellato la formazione basata sul plurilinguismo. In questa “dittatura dell’inglese” i progetti nati per favorire il plurilinguismo dall’Erasmus al Clil (che prevede l’insegnamento di una materia in lingua straniera) si sono di fatto declinati nell’insegnamento e nella diffusione del solo inglese (alla faccia delle altre lingue). La riforma Madia ha cancellato il requisito di conoscere “una lingua straniera” per accedere ai concorsi della pubblica amministrazione, e l’ha sostituito con l’obbligo del solo inglese. Intanto sempre più università vogliono estromettere l’italiano dalla formazione e insegnare direttamente in inglese, un modello che adesso si sta diffondendo anche in alcune scuole secondarie. Lo Stato italiano prevede che i progetti di ricerca o scientifici (Prin e Fis) si debbano presentare in inglese! Non in italiano!

La ricerca scientifica si svolge soprattutto in inglese, perché se qualcuno non segue questa prassi finisce che il suo studio non sarà letto, né citato, né godrà del prestigio di quelli stilati nella “lingua dei padroni”. L’Unione europea, nata all’insegna del plurilinguismo, di fatto sta imponendo l’inglese nella comunicazione istituzionale (grazie alla politica scellerata di Ursula Von der Layen) e sempre più usa quasi esclusivamente l’inglese come lingua di lavoro. E poi c’è l’inglese che ci arriva dall’espansione delle multinazionali, dalle pubblicità alla lingua delle interfacce informatiche che non è più fatta dagli italofoni nativi ma utilizzata senza traduzioni, mentre persino i titoli dei film non si traducono più.

La nostra intera intellighenzia sa solo ripetere il pensiero che arriva d’oltreoceano e lo fa con la terminologia, i concetti e le parole d’oltreoceano, che scimmiotta e ostenta abbandonando l’italiano, di cui fondamentalmente si vergogna. E così le nuove generazioni allevate in questo contesto culturale e figlie dell’esposizione all’inglese di cinema, tv, videogiochi, internet… vedono nell’inglese la lingua del futuro, della modernità e del mondo. E i mezzi di informazione che un tempo hanno contribuito all’unificazione dell’italiano ora diffondono l’itanglese, dai giornali alle tv.

Tutti i centri di irradiazione della lingua hanno sostituito il modello dell’italiano con quello dell’itanglese, che caratterizza il piano scuola, il linguaggio istituzionale, del lavoro, delle leggi (divenute act, mentre le tasse sono tax).

L’itanglese è l’effetto collaterale di questa espansione dell’inglese internazionale che si vuole ufficializzare.

Davanti a questo crollo, siamo in presenza di un cambio di paradigma che ci rende una colonia culturale – e linguistica – di un luogo che non c’è, chiamato Occidente, che non è altro che il nuovo impero americano, ed è la prosecuzione di ciò che un tempo si chiamava colonialismo e poi imperialismo, ma che oggi viene esaltato come l’unico modello possibile di lingua e cultura proprio dagli intellettuali che un tempo avevano un atteggiamento critico, ma oggi si sono trasformati nella principale voce del padrone che legittima il nuovo ordine costituito.

Ed è proprio questo il punto più disarmante. La questione della lingua è nata con Dante ancor prima che la lingua italiana fosse “fondata” e ha suscitato in ogni secolo accesissimi dibattiti e polemiche. Oggi tutto tace, siamo oramai lobotomizzati, rassegnati, diamo per scontato la cancellazione dell’italiano che finirà per diventare un dialetto di un anglomondo che pensa e parla inglese. E non solo manca la resistenza, quel che è peggio è che regna il compiacimento, nel perseguire la strategia degli Etruschi che si sono sottomessi da soli alla romanità fino a esserne inglobati e a scomparire.

Meno male che c’è qualche voce fuori dal coro, che ogni tanto trova persino qualche sprazzo sui giornali, come nel caso di Marco Biffi, di qualche comunicato Incipit, o di Michele Gazzola che denuncia i costi spropositati – oltre ai problemi etici di equità – dell’inglese dell’Unione Europea.

5 pensieri su “Marco Biffi, la diglossia e la lingua di Marinella

  1. Verissimo quello che dici.
    Purtroppo però ora all’elemento psicolinguistico si somma anche un altro elemento, forse ancora più subliminale, e riguarda la sfera politica.
    Cioè, il mondo occidentale è sempre di più – come scrivi bene – anglomondo, in tutto e per tutto, a livelli forse non visti dagli anni 50, e qualsiasi obiezione in questo senso relega chi la solleva a uno status di lebbroso.

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      • In questo sito siamo tutti lebbrosi ,siamo orgogliosi di esserlo e non abbiamo alcuna intenzione di farci curare.Inoltre abbiamo gli anticorpi contro il morbus anglicus.Coltiviamo infine la speranza di trasmettere il morbus italicus alla maggior parte di coloro che entrano in contatto con noi : vogliamo essere gli untori della lingua italiana.

        Fuor di metafora,da alcuni anni mi sto dando da fare per portare a conoscenza di amici ,parenti ,conoscenti e altre persone con cui vengo in contatto durante la mia attività lavorativa,dell’esistenza di questo sito e del dizionario AAA.

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  2. Volevo segnalare un video che ho visto in treno su dei corsi trilingue (italiano, tedesco, inglese) dell’università di Bolzano, ma non riesco a trovarlo su youtube. Un minestrone di itanglese inguardabile.

    Inoltre, segnalo una frase inglese che vedo sta venendo sfoggiata sempre più spesso dagli itanglesi (in particolare in ambito medico): “take home messages” al posto di “appunti” o “vademecum“. Alcuni esempi:

    Take home messages. La digital health è ormai parte del nostro presente”

    “Questi i 10 take-home messages

    “Individuare il take home message. Qual è il messaggio chiave che si vuole veicolare?”

    Studio IsKia: razionale scientifico, outcome e take home messages

    “Condividi la tua opinione sui take-home messages di quest’anno.”

    Take home messages e chiusura dei lavori.

    Conclusioni, take home messages e next step.” 

    Ancora:

    https://progetti.unicatt.it/centrostudilorenzon-ALTEMS%20PAL%20Summer%20Camp%20Settembre%202023.pdf

    Alla faccia dell’inglese che deve sostituire l’arcaico italiano perchè più veloce e agile.

    Altre segnalazioni:

    “L’inverno demografico is coming

    https://italiani.coop/popolazioneitalia2080/

    “Sud, millennials e single i più colpiti dai rincari food

    https://italiani.coop/sud-millennials-e-single-i-piu-colpiti-dai-rincari-food/

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