Le school street(s) e l’educazione istituzionale all’itanglese

Di Antonio Zoppetti

In una scuola milanese di via Porpora è stata da poco introdotta un’area pedonale con un parco giochi e una strada scolastica, e cosa si legge sulla segnaletica rivolta a tutti i cittadini e ai bambini delle elementari?

Porpora school street”.

L’inglese viene così introdotto e diffuso in modo ufficiale come la lingua della comunicazione e della segnaletica cittadina come fossimo un Paese anglofono. Forse dopo i “prestiti linguistici di necessità” è arrivato il momento di teorizzare anche i prestiti urbani e architettonici di necessità?

Il progetto non è nuovo e non è solo milanese, è dal 2019 che lo spingono con questo nome. Su un articolo apparso sul Fatto quotidiano del 2020, “L’Emilia Romagna sperimenterà le school street: niente più traffico davanti alle scuole”, si leggeva questa premessa:

Le statistiche del Dipartimento dei trasporti inglesi rivelano che nel 2018 il 14% dei decessi di bambini causati da incidenti stradali in Gran Bretagna ricadeva nella fascia oraria di ingresso a scuola (ore 7.00-9.00) e il 23% in quella di uscita (ore 15.00-17.00).”

E la conclusione era:

“Ma quella che si verifica ogni mattina davanti alle scuole non è una condizione irreversibile. In Emilia-Romagna, grazie ad una risoluzione del gruppo Europa Verde che è stata approvata dall’Assemblea Legislativa, sperimenteremo le “school street”, sulla base delle migliori pratiche in atto in svariati Paesi del Nord Europa. Si tratta di strade o piazzali in prossimità di una scuola, in cui è – temporaneamente durante gli orari di entrata e uscita da scuola, o permanentemente – interdetto il traffico degli autoveicoli in modo che tutti possano raggiungere la scuola in sicurezza a piedi o in bicicletta.”

Se analizziamo come è concepito un articolo del genere emerge chiaramente cosa frulla nella testa colonizzata di chi crede che l’Italia sia una provincia dell’impero anglofono. Per giustificare l’opportunità delle strade scolastiche non ci sono le statistiche sugli incidenti italiani, ma quelle inglesi, come se la realtà fosse la medesima e noi fossimo una provincia dell’impero. Dunque non resta che copiare le soluzioni con un nome in inglese.

L’esigenza di questi spazi è sentita dai cittadini, che in molti luoghi chiedono le “strade scolastiche”, ma le soluzioni adottate altrove sono state rese in italiano senza alcuna psicopatologia provocata da un “morbus anglicus cerebrale”.

La legge per cui l’italiano è la nostra lingua è carta straccia

In Francia utilizzare l’inglese per la segnaletica cittadina è vietato ma, a parte le leggi, difficilmente verrebbe in mente a chi ha un barlume di lucidità. In Italia, al contrario, non solo lo si fa come fosse una cosa normale, ma nella nostra anglo-assuefazione nessuno protesta, a quanto pare, anche se non so se tutto ciò sia legale.

L’unica legge che ha sancito che l’italiano è la lingua ufficiale è la n. 482 del 15 dicembre 1999, che all’articolo 1 (comma 1) recita: “La lingua ufficiale della Repubblica è l’italiano.” È solo in base a questo comma che la Corte Costituzionale ha riconosciuto che “questa legge può ben considerarsi ricognitiva e interpretativa d’un principio costituzionale implicito, come di nuovo ha dichiarato la Consulta (sentenza n. 159 del 2009)”. In altre parole: che la lingua ufficiale sia l’italiano non viene detto in modo esplicito nella Costituzione, ma lo si ricava e deduce implicitamente.

Peccato che questa legge abbia il valore di carta straccia. Se la stessa cosa fosse sancita nella Costituzione forse le università non potrebbero cancellare l’italiano dalla formazione universitaria per insegnare in inglese – dal Politecnico di Milano all’Università di Bologna – e nelle stesse città la comunicazione in inglese, invece che in italiano, sarebbe incostituzionale. Ma anche le Poste italiane forse non potrebbero rinominare i pacchi celeri o ordinari con la nuova nomenclatura basata sul “delivery (come denunciato dal Gruppo Incipit dell’Accademia della Crusca nel comunicato n. 17 del 3/11/2021: “Poste italiane o Delivery services?” e come avevo già fatto in febbraio anche da questo sito).

Mentre la realtà è questa, e l’impressione è qualla di vivere in un Paese occupato, un coro di intellettuali e linguisti ha attaccato l’assurdità della proposta di legge di Roberto Menia di introdurre in Costituzione che la nostra lingua è l’italiano, come in Francia, Portogallo e Svizzera. Ma i “liberisti linguistici” che si oppongono agli interventi legislativi possono stare tranquilli, in fin dei conti si tratta di una proposta di facciata e dunque innocua; come le altri leggi in tema di lingua presentate ciclicamente dai parlamentari di Forza Italia e Fratelli d’Italia, che tanto non vengono discusse. Questi partiti che le presentavano sin da quando erano all’opposizione, adesso che governano non le approvano affatto.

Il liberismo linguistico è invocato solo quando fa comodo

Le istituzioni che introducono e diffondono l’inglese senza alcun rispetto per il nostro patrimonio storico né per la trasparenza nei confronti degli italiani, lo fanno di proposito.

Pensiamo al Ministero della pubblica istruzione che nel 2018 ha emanato un Sillabo per l’imprenditorialità scritto in itanglese, con un inguaggio così assurdo che il Gruppo Incipit è intervenuto (comunicato n. 10: “Sillabo per l’imprenditorialità o sillabario per l’abbandono della lingua italiana?”) denunciando che

“per imparare a essere imprenditori non occorre saper
lavorare in gruppo, bensì conoscere le leggi del team building, non serve progettare, ma occorre conoscere il design thinking, essere esperti in business model canvas e adottare un approccio che sappia sfruttare la open innovation, senza peraltro dimenticare di comunicare le proprie idee con adeguati pitch deck e pitch day.”

Quello che colpisce è che, proprio nello stesso anno, lo stesso organo diramava contemporaneamente delle Linee Guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del MIUR (2018), dove nella prefazione dell’allora ministra Valeria Fedeli si leggeva (p. 4):

“Credo che nel MIUR la consapevolezza dell’importanza del linguaggio debba essere coltivata e praticata anche più che altrove – non solo per quanto riguarda l’uso del genere grammaticale femminile, quindi, ma anche per tutto ciò che riguarda la trasparenza degli atti amministrativi. Sappiamo che la lingua è un corpo vivente, che si evolve nell’uso quotidiano e non può essere cambiata per decreto. D’altra parte, le proposte riguardanti l’uso del femminile avanzate nelle presenti Linee guida non hanno nulla dell’imposizione dall’alto, perché richiedono semplicemente di applicare in modo corretto e senza pregiudizi le regole della grammatica italiana.”

Il richiamo alle pari opportunità, l’attenzione per la trasparenza e per le regole della grammatica italiana sono invocati nel caso dell’educazione al genere, ma nascosti sotto al tappeto nel caso degli anglicismi che al contrario vengono diffusi e promossi senza seguire gli stessi criteri. E infatti nel 2023 lo stesso Ministero ha varato un documento per il Piano Scuola 4.0 in cui di nuovo il modello linguistico era l’itanglese, e di nuovo il Gruppo Incipit lo ha duramente criticato (comunicato n. 22: “Un glossario per il Piano Scuola 4.0”):

“La trasformazione degli ambienti di apprendimento va sotto il nome di Next generation classrooms; le “azioni” sono definite Next Generation Class, Next Generation Labs; è prevista la rendicontazione di milestone e target; sono evocati i principi del Do No Significant Harm, si parla di check list, di compiti di driver dell’innovazione, mentoring, Digital board, peer learning, problem solving, multiliteracies, debate, gamification, making, blockchain, Task force Scuole, outcome. ”

E allora, per diffondere questo modello linguistico basato sull’itanglese cosa c’è di meglio che abituare i bambini sin da piccoli alla logica delle “school street”?
Per chiamare le cose con il loro nome bisognerebbe che tutti ci rendessimo conto di un fatto evidente e incontrovertibile, anche se nessuno lo mette in risalto: gli ambienti riformisti che vogliono educare gli italiani a parlare in modo etico, inclusivo e non discriminante sono gli stessi che, nel pacchetto, educano all’inglese e all’abbandono dell’italiano. E lo fanno in modo consapevole.

Non bisogna dimenticare che la politica e la pianificazione linguistica non avviene soltanto attraverso provvedimenti espliciti, cioè attraverso l’emanazione di leggi e decreti, ma anche con altre modalità, attraverso la persuasione morale, i gruppi di pressione, i movimenti di opinione che non arrivano solo dalle istituzioni, ma anche da altre parti sociali.

Peccato che tutte queste iniziative che predicano l’importanza del linguaggio sui temi sociali se ne freghino dell’italiano e della sua anglificazione.

La commissione dell’UE, in concomitanza con il Natale, nel 2021 ha emanato delle “Linee guida per una comunicazione inclusiva”, in cui si suggeriva di sostituire “Buon Natale” con “Buone feste” per non discriminare chi non è cristiano. E allo stesso tempo l’Unione Europea lavora per istituzionalizzare l’inglese come lingua ufficiale dell’Europa – benché nessuna carta legittimi questa prassi linguiscista – introducendolo nei documenti bilingui a base inglese, nella comunicazione della Von der Leyen rivolta agli europei in inglese, invece che all’insegna del plurilinguismo, e in mille altri modi ancora.
Passando al fronte interno, nel 2023 “le Commissioni Affari costituzionali e Lavoro della Camera hanno approvato all’unanimità l’emendamento di Arturo Scotto (Pd) che prevede che nei documenti della Pubblica amministrazione la parola ‘razza’ sia sostituita da ‘nazionalità‘”.

A quando una modifica costituzionale per abolire anche “senza distinzione di razza”? Forse avrebbe più successo di quella di Menia.
Intanto, lo scorso 28 marzo l’Università di Trento ha pensato bene di varare il Regolamento dell’ateneo utilizzando il “femminile inclusivo” e dunque introducendo espressioni come la presidente o la rettrice anche quando si riferiscono agli uomini.

E mentre il revisionismo linguistico impazza su questi fronti, cosa si fa davanti all’interferenza dell’inglese?
La si aiuta, introduce e agevola con la stessa energia, applicando due pesi e due misure: intervenire sulla lingua e sul modo di parlare della gente per cambiarlo in nome di ideologie politiche spesso dai toni fondamentalisti, e contemporaneamente anglicizzare. Invocare la trasparenza, la comprensibilità, la non discriminazione come un valore in un caso e negare le stesse cose sul fronte dell’itanglese.

Davanti al globish delle istituzioni sarebbe ora di protestare e di organizzare la Resistenza al nuovo regime linguistico che si vuole imporre dall’alto ai cittadini, in modo manipolatorio e con prepotenza.

12 pensieri su “Le school street(s) e l’educazione istituzionale all’itanglese

  1. È davvero uno schifo quel miscuglio di italiano e inglese. E ancora più assurdo che nessuna autorità intervenga.

    Qui il caso è grave, perché quella lingua non è più italiano e le istituzioni specialmente hanno il dovere e l’obbligo di comunicare in un corretto e perfetto italiano, mentre ora non permettono che a pochi cittadini di comprendere ciò che scrivono.

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    • Se la legge citata sancisce che l’italiano è la lingua ufficiale, in teoria le comunicazioni in itanglese istituzionali dovrebbero essere illegali, oltre che ripugnare al buon senso. Ma di fatto la legge si può tranquillamente violare, non mi risultano sanzioni per chi la calpesta; e le istituzioni sono preoccupate solo di educare all’inglese e agli altri tipi di interventi linguistici che riguardano altri temi. Quello che sconvolge è proprio la mancanza di reattività della società civile.

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  2. Anche definire “la rettrice” un uomo è discriminante, se si vuole adottare questa ideologia. Putroppo questi sono i nuovi razzismi, che vengono fatti passare per progresso, per rispetto della diversità, delle minoranze (ma ci sarebbero anche i diritti della maggioranza, tanto per dire).
    Tempo fa (mi sembra sia accaduto nei Peasi Bassi) per il libro di una scrittrice nera si è dovuto cambiare traduttore perché lui o lei non era “nero”, non era di origini africane. Non ci si rende conto che il dire “tu non puoi tradurre questo libro perché non sei nero” è la stessa cosa che dire “non puoi sederti su questa panchina perché non sei bianco”. E che dire poi dello “scandalo” suscitato a Milano dalla statua di una donna che allatta??
    Scusa Antonio per la divagazione, ma mi sembra che le società “occidentali” stiano impazzendo e diventando false democrazie, mentre di pari passo i regimi autoritari e le già false democrazie dell’est (senza fare nomi) avanzano.

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    • Guarda non entro nel merito del revisionismo linguistico, spesso fondamentalista e di matirce angloamericana, che si nutre di cultura della cancellazione e di esportazione del cosiddetto pensiero unico guarda caso spesso in inglese. Voglio però ribaltare le idiozie di chi si proclma non interventista nel caso dell’ingese ma interventista in altri ambiti. C’è un limite alle cretinate, la verità è che sulla lingua si interviene eccome e sarebbe ora di finirla di usare due pesi e due misure.

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  3. Caro Antonio, come sempre i tuoi articoli sono impeccabili e nello stesso tempo mi lasciano l’amaro in bocca…

    Forse la nostra è una battaglia persa? Pensa che ieri ho notato che nel bar sotto casa (non in zona turistica) è comparsa la scritta: “Welcome ice-cream season!”

    Ancora: in un’azienda dove faccio il consulente mi hanno spiegato che parlare di “personale” è superato, è polveroso, mentre ora si dice “staff”.

    Tutto concorre a identificare l’italiano come polveroso, superato. L’inglese o lo pseudo-inglese invece sono attuali, sono “cool”. Sono molto pessimista e i nostri lamenti servono a poco.

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  4. Quello che qui esprimo è un commento paradossale, un po’ malevolo, ma forse contiene per lo meno una mezza verità: alla domanda perché resti inapplicata rispetto all’abuso dell’inglese la formulazione delle legge 482/99 è perché tanto quella formulazione, tanto la sua non applicazione nei casi d’abuso dell’inglese sono frutto della medesima mentalità glottofobica.

    Affermare (in pratica del tutto superfluamente) l’ufficialità della lingua italiana rispetto alle lingue minoritarie è mettere paletti alle seconde perché restino fortemente precarie e subordinate alla prima (cosa che non né ne ovvia né universale, giacché in varie aree allofone d’altri Paesi la lingua autoctona del territorio nell’ambito pubblico è parificata o addirittura preferita a quella dello Stato, tentandosi in tal modo di compensarne la debolezza nella società e nell’economia) e d’altra parte ignorare l’ufficialità dell’italiano rispetto all’inglese è facilitare la strada alla superiorità dell’inglese. Per il glottofobo è tutto coerente: rottamare le ingue minoritarie (e lingue migranti e dialettali, semplicemente ignorate dalla legislazione) rispetto all’italiano, e cominciare a rottamare anche questo rispetto all’inglese.

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    • Mi pare un giudizio condivisibile. Diciamo che l’italiano — inteso come il toscano ufficializzato come lingua nazionale a scapito degli altri volgari retrocessi allo status di dialetto — oggi rischia di diventare dialetto di un mondo (glottofobo e ostile al plurilinguismo) in cui si vuole ufficializzare l’inglese. Le lingue grandi, come i pesci grandi, si mangiano quelle piccole, e mentre l’italiano si trasforma in un ibrido a base inglese, regredisce e perde terreno su tutti i fronti che un tempo ha sottratto al latino, dalla scienza alla scuola.

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  5. Buongiorno dott. Zoppetti. Ho letto con vero interesse questo suo articolo. Che persino sulla via pubblica il colloquio tra Istituzione e Cittadino non avvenga più in italiano ma in lingua inglese, quasi che noi stessi italiani sentissimo la nostra lingua come una lingua inferiore, una sorta di dialetto, è visibile in tanti luoghi e tanti contesti! Qui le rimetto un caso emblematico. Nell’immagine allegata può vedere, proprio nella piazza principale di Legnano(MI), ove ha sede il comune (che nella fotografia si vede alle spalle degli alberi) il “Bike Parking” di Legnano. Stando al dizionario Treccani il parcheggio per biciclette si chiama “Ciclostazione”. A questo termine Wikipedia – e altrettanto fa Trenord – aggiunge un sinonimo: “Velostazione”. Ma a Legnano le giunte che si susseguono sono tutte quante “internescional” e sanno bene che, per essere chiari ed autorevoli anche coi loro stessi cittadini, bisogna esprimersi in inglisc: proprio la città del Carroccio, che secoli fa si oppose vittoriosamente al dominatore straniero, oggi si prostra servile allo zio Sam! Quindi niente “Ciclostazione” o “Velostazione” o, banalmente, “Parcheggio per biciclette”: sia “Bike Parking” per lumbard, per italiani e per tutti quanti! Tra l’altro, sarei curioso di vedere cosa mai potrebbero contestarmi se mai andassi a parcheggiare la mia automobile nel bel mezzo del “Bike Parking”: dove sta scritto, infatti che quello spazio è riservato alle biciclette? Inutile dire i sorrisini dei miei amici stranieri quando, di propria iniziativa, hanno anch’essi notato questo vero e proprio servilismo italiota: a casa loro le Istituzioni scrivono nella loro lingua soltanto o, tuttalpiù, scrivono bilingue nei posti ove vi è veramente un flusso internazionale che giustifichi l’aggiunta della traduzione in inglese! Cordiali saluti. Domenico Calabrese

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  6. Temo che protestare contro l’uso di parole inglesi nella comunicazione istituzionale sia inutile perché si riceverebbe come risposta che che ormai l’anglismo fa parte della lingua italiana, come v’appartengono latinismi come “referendum” che quindi possono essere usati nel linguaggio delle istituzioni. 

    So benissimo che in realtà il paragone zoppica, perché i latinismi sono molto più rari e radicati da lungo tempo, a differenza degli anglismi che dilagano quotidianamente.

    Ma forse il presupposto sottinteso è che qualsiasi vocabolo della lingua inglese sia per così dire “membro di diritto” del lessico della lingua italiana.

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    • La tendenza è quella di affermare “italiane” le parole in base alla frequneza d’uso senza considerare la struttura fono-ortografica, quindi tutto va bene. Anche i linguisti (italiani) fanno così, tuttavia street schol non è un anglicismo registrato dai dizionari, è un riversamento dell’inglese che non ha motivazioni, ed è un’imposizione da parte delle istituzioni ai cittadini.

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