Il “cherry picking” linguistico

Di Antonio Zoppetti

Dal Dizionario AAA ricevo una gran quantità di domande su come tradurre gli anglicismi sempre più frequenti e astrusi. Voglio riportarne una arrivata qualche giorno fa perché mi permette di aggiungere qualche osservazione sul fenomeno in generale:

Buonasera,
recentemente mi è capitato di riflettere sull’espressione “cherry picking”. Non sono riuscita a trovare un traducente completamente adatto, sapreste darmi una soluzione?
Grazie!
Elizabeth R*

Cherry picking: significati

Cherry picking (letteralmente raccolta di ciliegie) indica una raccolta o scelta selettiva basata sulla metafora dello scegliere, tra le tante ciliegie, solo quelle migliori. In italiano circolano analoghe espressioni che si appoggiano invece alla metafora del fiore: il motto dell’Accademia della Crusca “il più bel fior ne coglie”, l’etimo della parola antologia (ánthos = fiore + loghìa che deriva dal tema légo = scelgo), il florilegio, il fior fiore di qualcosa.

Come nella proverbiale questione del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, che dipende dal punto di vista che assumiamo, mentre la metafora italiana del fiore guarda agli esempi migliori, la connotazione dell’espressione inglese evidenzia invece gli elementi trascurati, dunque indica una raccolta parziale, che confonde la parte (le ciliegie belle) con il tutto (ci sono anche le ciliegie col verme o acerbe).

A sua volta, questa raccolta di dati parziali o distorti può essere involontaria oppure voluta, e genera perciò due fenomeni diversi.

Il primo è psicologico: un individuo tende a formulare un giudizio tendenzioso senza rendersi conto della fallacia delle proprie percezioni, perciò il cherry picking ha a che fare in questo caso con una percezione distorta, una distorsione cognitiva dovuta a preconcetti, un pregiudizio cognitivo che in fin dei conti è un pregiudizio, un preconcetto, una trappola mentale, un errore di giudizio o valutazione.

L’esempio più classico di questa distorsione percettiva si ha nel meccanismo di corroborazione degli oroscopi o della previsione del futuro. Se la fattucchiera di turno prevede dieci cose, la nostra mente tende a notare – tra tutte – solo quelle due o tre che capitano davvero. Quando accade, ogni previsione avverata fa scattare la molla dell’associazione mentale: “Il veggente l’aveva detto!”, con il risultato che la profezia sembra verificarsi solo perché il nostro cervello lavora solo sugli esempi positivi e si dimentica di quelli che non si verificano affatto, e che con ogni probabilità sono più numerosi di quelli azzeccati.

Questo meccanismo è qualcosa di nuovo? No di certo, si tratta di una convalida (o conferma) soggettiva nota anche come effetto Forer o Barnum (dal nome di due studiosi che l’hanno indagato), ma nella nostra mania compulsiva di esprimere ogni cosa in inglese si può indicare anche con l’anglicismo bias (per non farci mancare nulla nella lingua di Albione, nemmeno i doppioni).

Non sempre, però, nella raccolta delle ciliegie cadiamo nelle trappole cognitive, altre volte lo stesso meccanismo è ben preordinato per costruire delle argomentazioni volutamente tendenziose, surrettizie e sornione (che sotto la maschera innocente celano l’inganno). E questo è il secondo significato retorico, o comunque impiegato per esempio nella comunicazione scientifica o medica di parte: si riferisce al tacere una parte della realtà, e in italiano si può rendere tecnicamente con la fallacia dell’incompletezza (o dell’evidenza incompleta), o in parole povere con un’argomentazione incompleta, distorta, deformata, tendenziosa, artificiosa, di parte, parziale, partigiana, faziosa, viziosa o viziata, una pseudoargomentazione o una manipolazione dei fatti (ancora una volta il concetto finisce per sovrapporsi all’anglicismo fake news, visto che stiamo riscrivendo la nostra storia e la nostra essenza con concetti inglesi).

Questa casistica di comodo, militante e non obiettiva si basa su una tecnica che è stata definita anche scopa di Occam, cioè un modo di nascondere i fatti indigesti sotto il tappeto in contrapposizione al “rasoio di Occam” (per cui tra due spiegazioni la migliore è sempre quella con il minor numero di passaggi, la più semplice ed economica).

Dal significato all’uso

Chiariti i significati del cherry picking in generale e negli ambiti della psicologia e della comunicazione, e chiarito che non si tratta di nulla di nuovo e che non ci mancano di certo le parole per esprimere le stesse cose in italiano, nel nuovo millennio abbiamo ripetuto l’espressione inglese in sempre più contesti.

In figura si vedono le frequenze della parola in inglese e in italiano, e il grafico è piuttosto calzante nel mostrare come gli andamenti siano simili nei picchi e anche nei cali, nonostante nei confronti con la lingua dominante la frequenza dell’espressione sia da noi più bassa.

Andando a vedere in quali contesti questa espressione viene impiegata, oltre al caso della psicologia, della comunicazione o della retorica, l’anglicismo viene utilizzato anche in ambito economico, con una diversa sfumatura, per indicare gli investimenti a basso rischio o sicuri perché basati solo sui parametri migliori e più affidabili su lungo termine. Ma poiché l’anglomania non ha limiti, ecco che l’espressione inglese si allarga anche di tantissimi altri significati, e sul Sole 24 ore, per esempio, si trova un’ulteriore accezione per cui cherry picking può indicare anche la prassi dello “strappare il personale” alle aziende concorrenti, naturalmente solo quello più brillante e strategico (le ciliegie buone); e poiché una ciliegia tira l’altra, tra i neologismi Treccani si legge che equivale anche alla “capacità di individuare le doti migliori di una persona (Corriere della Sera – Magazine 07/09/2006).”

Riassumendo, l’espressione inglese è una metafora piuttosto generica usata come parola ombrello, e si piega poi alle tante valenze che assume in vari ambiti configurandosi come un tecnicismo. Questo allargamento in tanti settori dove cherry picking si acclimata ricavandosi un significato peculiare tende a sovrapporsi all’italiano e a sostituirlo anche se esistono espressioni equivalenti, ma contemporaneamente tende a occupare le sue nicchie imponendosi come qualcosa di nuovo.

Perché dobbiamo trapiantare un modo di dire in inglese – molto generico e vago – farlo nostro e introdurlo in sempre più ambiti invece di usare le nostre parole?

Il problema è sempre lo stesso, e la risposta sta nella nostra mente colonizzata che ha come punto di riferimento solo l’anglosfera, una mens insana che produce una lingua insana.

Il cherry picking in Francia e Spagna

Mentre le Accademie di Francia e Spagna fanno il loro lavoro di accademie, e hanno dunque un approccio prescrittivo che contempla anche la coniazione di nuove parole, la Crusca, al contrario, si vanta del suo approccio descrittivo e si guarda bene da produrre neologismi, per cui le consulenze linguistiche finiscono spesso per legittimare gli anglicismi, invece di contrastarli. E così, alla domanda di un lettore che chiede se si può dire governanza invece di governance, segue una risposta che avvalora l’anglicismo sostenendo che è “ormai divenuto italiano”, anche se sul questo bizzarro concetto di “italiano” basato sull’uso ci sarebbe da ridire, visto che è una parola che viola le regole ortografiche e fonologiche della lingua che un tempo la Crusca ha contribuito ad affermare (Arrigo Castellani si rivolterebbe nella tomba davanti a certe affermazioni che legittimano quelli che chiamava “corpi estranei” proprio perché sono fuori dall’italiano e non si amalgamano con il sistema linguistico che li ospita).

Allo stesso modo, davanti alla domanda se è possibile tradurre know how la Crusca chiarisce: “La risposta è no (…) il referto della radiografia di know how sancisce una prognosi infausta per qualsiasi ipotesi di traduzione italiana.”

Davanti a questo atteggiamento viene da chiedersi a cosa ci serva una simile accademia, visto che per studiare la lingua senza intervenire ci sono già le università. Naturalmente (come ho già scritto in un altro articolo) l’atteggiamento dell’Academie Française e della Real Academia Española è ben diverso, visto che al posto di un “intraducibile” know how indicano senza esitare rispettivamente i traducenti savoir faire e conocimiento fundamental, ma è risaputo che quelli che in Italia sono spacciati come “prestiti di necessità” quasi sempre sono “necessari” solo da noi. Mi domando se questo atteggiamento dei linguisti italiani non si possa configurare come un caso di cherry picking linguistico: si fa credere che le parole inglesi siano come le ciliegie buone, mentre quelle italiane si oscurano e si nascondono sotto al tappeto, come se non esistessero, per procedere solo attraverso le espressioni inglesi facendole apparire intraducibili. In questa follia, in gioco c’è la lotta per l’imposizione dei nuovi concetti in inglese (anche se non sono affatto nuovi).

E forse, chissà, anche il motto della Crusca “il più bel fior ne coglie” si potrebbe modernizzare prima con “la più bella ciliegia ne colga” per poi passare gradualmente a dirlo nella lingua internazionale: cherry picking e basta.

Comunque sia, cercando cherry picking sul sito della Crusca non appare alcun risultato, invece, su un cinguettio di X (ex Twitter) della Reale Accademia Spagnola si legge: “In alcuni contesti l’anglicismo «cherry-picking» equivale a «espigueo» [= spigolatura NdA ], quando assume il significato dell’azione e dell’effetto di cercare in diversi scritti o fonti i dati per qualche lavoro.”

Nel mondo ispanico le alternative sono dunque promosse, invece che negate, e se si cerca l’espressione inglese sulla Wikipedia in spagnolo si atterra su una pagina in spagnolo: “Falacia de evidenza incompleta”, la stessa soluzione indicata in vari altri contesti, mentre su un dizionario dedicato alle alternative ai forestierismi si parla di “(sofisma de la) prueba incompleta, supresión de pruebas”.

Nel vocabolario di arricchimento del francese si divulga invece la parola “picorage”, che fa riferimento allo “spiluccare” degli uccelli, il “becchettare” selettivo che riprende la metafora dello scegliere le ciliegie buone, la stessa soluzione riportata dalla Wikipedia (“Nel sistema giudiziario, quando una persona è incaricata di difendere una particolare posizione, “picorage” può essere appropriato. Un avvocato è libero di presentare solo le prove che sostengono l’innocenza del suo cliente”).

Da noi, invece, ci sono dei linguisti che ci vogliono far credere che l’arricchimento dell’italiano avvenga proprio mediante gli anglicismi, visti non come una regressione, ma come un arricchimento… un punto di vista piuttosto strampalato.

Il fatto è che senza istituzioni serie in grado di intervenire nel codificare delle soluzioni condivise che possano diventare dei punti di riferimento ufficiali, in Italia siamo in balia di una classe dirigente anglomane che sa solo importare e legittimare l’inglese, a cominciare proprio dai linguisti.

E in questo modo gli anglicismi non possono che avere la meglio, perché non si può lasciare le alternative alla creatività e alle traduzioni soggettive dei singoli parlanti, tecnici, traduttori o giornalisti. Ammesso e non concesso che qualcuno si sforzi di dirlo in italiano, tra le tantissime soluzioni che si possono individuare a seconda dei contesti, ciò che viene a mancare è proprio l’uniformità che caratterizza l’equivalente inglese, che finisce per scalzare le traduzioni proprio perché varie, personali e non standardizzate in una soluzione condivisa.

Anche per questi motivi, in mancanza di punti di riferimento istituzionali, ricevo decine e decine di domande e di richieste di traduzioni come questa che ho voluto divulgare.

PS
Il 15 dicembre, alle ore 17, interverrò a Pistoia presso l’Archivio Roberto Marini (Galleria Nazionale, 9) al convegno “Gli americani ci fregano con la lingua” (citazione da un gustoso monologo di Francesco Guccini) insieme a Debora Pellegrinotti, Giampaolo Francesconi e Giuseppe Fasulo. Parlerò dei meccanismi con cui gli anglicismi penetrano nell’italiano e del rapporto tra lingua e potere.

18 pensieri su “Il “cherry picking” linguistico

  1. Il Ministero della cultura che organizza un dibattito sull’itanglese ? “Are you kidding me ?” direbbero i talebani dell’inglese.
    A ogni modo complimenti Antonio, speriamo faccia riflettere a qualcuno.
    Si può recuperare in differita per chi non potrà assistere di presenza ?

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  2. Il concetto del “cherry picking” esiste anche nella pallacanestro (quando un giocatore in difesa rimane vicino al centro campo, invece di difendere il suo uomo o zona, pronto a ricevere la palla in attacco). Sono quelle espressioni con tanti significati che non ha senso importare in Italia, gli stessi concetti si possono esprimere in diversi modi in italiano senza ricorrere all’inglese. Il provincialismo e il senso di inferiorità di questo paese nei confronti degli Stati Uniti, che poi ci porta a scimmiottarli in modi goffi e grotteschi, è francamente imbarazzante (ultimamente ho sentito persone usare “week” al posto di settimana… tipo, “ci vediamo la prossima week” etc.etc.).

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    • Nella pallacanestro, che ormai è basket, mi mancava… comunque hai centrato il punto: non ha senso importare simili modi di dire astrusi, e ha ancora meno senso lo spacciare come tecnicismo di settore una cacchio di frase vaga e generica, venduta come un intraducibile nuovo o preciso concetto.

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  3. Scimmiottiamo (ma si sapeva) anche a livello ufficiale, ad es. con lo stemma della Presidenza del Consiglio (e credo anche altri organi) scopiazzato pari pari da quelli americani (stessi caratteri, stessa forma, cambia solo un po’ il colore dello sfondo…

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    • Il vecchio pappagallo italiano che fischiava alle belle ragazze per strada ora si chiama catcaller… il nuovo papagallo italiano, invece, è quello che ripete gli anglicismi alla cavolo e pensa pure siano “necessari”. Naturalmente il linguaggio è la spia di un’imitazione ben più ampia che si riflette in tutto (sugli stemmi non avevo notato e non saprei, ma per il resto…).

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  4. Ciao Antonio, faccio notare che, a mio avviso, anche l’uso delle virgolette e’ ormai, almeno parzialmente, anglicizzato. Ad esempio, la frase in questo post che termina con <>, viene chiusa dalla virgoletta, senza un punto fermo. Questo in italiano io non lo ho mai visto se non in questi ultimi 5-10 anni ed e’ importato dal modo in cui gli anglosassoni usano le virgolette (mi sento certo di questo perche’ vivo in GB da due decenni e sono sempre stato molto stupito fin da subito dal modo bizzarro con cui loro usino le virgolette, molto diverso da quanto avessi imparato a scuola e sempre visto in Italia). Immagino che si voglia indicare che quanto all’interno delle virgolette si chiuda con un punto fermo. E, per evitare ridondanze, credo, non si aggiunga il punto fermo di pertinenza alla frase madre (cioe’ “… dati per qualche lavoro.”.). Ma in italiano: 1) il punto fermo che chiude quanto all’interno della virgoletta si omette; 2) la frase e’ sempre chiusa con un punto (fermo, esclamativo o di domanda). In sostanza, la punteggiatura della frase in questione dovrebbe essere <>.

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    • La punteggiatura associata alle virgolete fa parte delle norme editoriali, e se citi una frase per intero con anche il suo punto le virgolette sono esterne, perché il punto fa parte della citazione. Diverso è il caso per es. se dico la scritta “benenuto”. In questo caso il punto è esterno. Non so attraverso quali fonti sostieni la tua tesi, il manuale di sitile della Zanichelli, da sempre, spiega bene queste cose. Caso mai l’interferenza dell’inglese sta portando a nuovi criteri per le citazioni bibliografiche, rispetto ai nostri storici, ma non mi pare che modifichi la punteggiatura. E in ogni caso il problema dell’inglese è ben altro…

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      • Quello che invece si trova sempre più spesso è l’uso delle maiuscole in tutte le parole di un titolo, mentre da noi dovrebbe essere solo nella prima parola, tipo “Rapporto Sulla Derattizzazione Locale” e simili amenità.

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      • Grazie Antonio. Ho fatto un po’ di ricerche e sembrerebbe che entrambe le versioni si usino, non sapevo. In quanto al fatto che la punteggiatura non sia il maggior problema per l’italiano, concordo fino a un certo punto. Cosi come nel commento che dice come i titoli siano ora tutti solo con le maiuscole, o che sto cominciando a vedere gente che conta 1,2,3 partendo dal mignolo (all’americana) e non dal pollice, sono tutti segni di uno scardinamento culturale sistematico a tutti i livelli. Una colonizzazione mentale completa.

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