di Antonio Zoppetti
Sulla questione della lingua italiana e della sua anglicizzazione, alle soglie del 2023 forse il vento sta cambiando.
Le parole di Giorgia Meloni
Durante un discorso alla Farnesina, il 22 dicembre, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha posto in primo piano anche il tema della lingua italiana.
“La lingua è uno straordinario ‘diplomatico’, per la nostra cultura” ha affermato, e ha aggiunto che purtroppo tutti noi, “a partire da chi ha incarichi di responsabilità, a partire dalla sottoscritta, che si considera una grande patriota, alla fine veniamo travolti dall’uso di queste parole straniere.” Meloni ha perciò lanciato un richiamo a utilizzare il più possibile l’italiano – rivolto anche a se stessa e al proprio linguaggio – per “difendere la profondità della nostra cultura, la nostra capacità di guardare il mondo (…) attraverso una lente che ha sfumature molto più colorate di quelle che spesso vediamo al di fuori dei confini nazionali”.
Anche il presidente del Consiglio Mario Draghi, nel 2021, aveva fatto un paio di uscite estemporanee sull’abuso dell’inglese. In marzo, interrompendo una dichiarazione incentrata sugli incentivi per lo smart working e il baysittng, aveva chiosato con: “Chissà perché dobbiamo sempre utilizzare tutte queste parole inglesi.” E in aprile, in Parlamento, aveva strappato un applauso per avere ironizzato sulla parola governance, precisando: “Quella che altri chiamano governance”, visto che si può parlare benissimo di governo.
Le sue parole sono state però uno sprazzo, e non facevano parte di un progetto di intervento. In quell’occasione provai a scrivergli una lettera aperta dalle pagine di Italofonia, che riuscii a recapitare anche al suo portavoce, ma nessuna risposta è mai pervenuta.
Anche la petizione sull’abuso dell’inglese nel linguaggio istituzionale che nel 2020 avevo rivolto con altri illustri firmatari al presidente della Repubblica Sergio Mattarella è caduta nel vuoto ed è rimasta senza risposte, nonostante sia stata sottoscritta da più di 4.000 cittadini italiani.
Oggi, però, per la prima volta sembra che nella politica qualcosa si stia muovendo e che uno spiraglio si sia aperto.
La proposta di inserire la lingua italiana in Costituzione
Il 16 novembre 2022, il senatore di Fratelli d’Italia Roberto Menia ha presentato un disegno di legge (n. 337) per inserire nella Costituzione che l’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica.
Non si tratta di un’iniziativa nuova, ma di un tormentone che va avanti da decenni e che ogni tanto rispunta. Ogni volta qualcuno lancia la proposta, ma poi tutto si arena e rimane chiuso nei cassetti.
Già un paio di volte, nel 2006 e nel 2014, l’accademia della Crusca aveva suggerito – senza successo – di aggiungere che l’italiano è la lingua ufficiale nell’articolo 12, dove si specificano i colori della nostra bandiera. E in tempi recenti la questione è stata più volte riproposta invano insieme a quella dell’istituzione di un Consiglio Superiore della Lingua Italiana (CSLI) da parlamentari di Forza Italia e di Fratelli d’Italia.
La novità è che è nel 2023, per la prima volta, in Parlamento ci sono i numeri che permetterebbero di passare dalle proposte alla loro realizzazione. E comunque ci sono se non altro i margini per porre la questione sul tavolo in modo serio e per aprire un dibattito e spezzare il tabù tutto italiano della politica linguistica, ma anche il coro degli stucchevoli stereotipi con cui il tema della lingua italiana viene stigmatizzato da chi non ha altri argomenti se non quelli di accostare la questione alla guerra ai barbarismi di epoca fascista.
Questo ultimo pregiudizio è davvero insopportabile, è un bavoso parlare alla “pancia” della gente, invece che alla testa, a cui spesso ricorre una parte della sinistra anglomane che ha smarrito le sue radici popolari e si disinteressa dell’italiano, della trasparenza nella comunicazione e del rispetto per gli italiani.
La tutela e la promozione del nostro patrimonio linguistico – come quello culturale, artistico, naturalistico o gastronomico – non è né di destra né di sinistra, appartiene a tutti e soprattutto conviene a tutti ed è nel nostro interesse!
L’ottusità e la mistificazione di chi fa leva sul sentimento antifascista alimentando l’equazione “tutela della lingua = fascismo” è da spazzare via una volta per tutte. Se il fascismo ha varato una politica linguista rivolta anche contro i forestierismi non significa di certo che sia quella la politica da seguire e da far rivivere. Fossilizzarsi sullo spauracchio del ventennio significa non essere in grado di comprendere l’attuale contesto storico, che non ha nulla a che vedere con le battaglie di principio contro il barbaro dominio che in passato hanno caratterizzato il purismo e il Risorgimento, prima ancora del fascismo. E invece di guardare ai capitoli chiusi del passato, bisognerebbe guardare alle attuali politiche linguistiche delle altre democrazie moderne, a partire dalla Francia, dalla Svizzera, dalla Spagna o dal Portogallo, dove l’anglicizzazione dei rispettivi idiomi non è certo paragonabile alla nostra.
La lingua nelle Costituzioni di Francia, Spagna, Portogallo, Svizzera e Romania
Agli oscurantisti che, nel dibattito che si sta aprendo in Italia, non sanno far altro che evocare gli spettri del fascismo bisognerebbe far presente che nel 1992 anche la Francia ha inserito nell’articolo 2 della Costituzione che il francese è la lingua ufficiale (proprio per arginare l’invadenza dell’inglese come lingua europea), mentre nel 1994 è stata varata la legge Toubon che rende obbligatorio l’uso del francese non solo in ogni atto governativo, ma anche nelle scuole di Stato, nei luoghi di lavoro e nelle contrattazioni commerciali. E questo provvedimento è solo l’ultimo atto di una politica linguistica inaugurata negli anni Sessanta da De Gaulle, continuata con il decreto del primo ministro Jacques Chaba-Delmas, nel 1972, e poi durante il governo Chirac, nel 1975, con una legge firmata Valérie Giscard d’Estaing e successivamente con un progetto di legge del 1984 presentato dai socialisti.
Anche nella Costituzione spagnola è scritto: “Il castigliano è la lingua ufficiale dello Stato. Tutti gli spagnoli hanno il dovere di conoscerla e il diritto di usarla”, e lì l’inserimento è avvenuto soprattutto per garantire il ruolo del castigliano “di fronte alla forte presenza di minoranze” linguistiche, ha ricordato il presidente della Crusca Claudio Marazzini.
Ma va detto che lo spagnolo è una delle lingue che meglio resiste all’anglicizzazione, e l’attività coordinata delle accademie spagnole di una ventina di Paesi dove il castigliano è la lingua ufficiale prevede la coniazione e la promozione di vocaboli e termini autoctoni al posto di quelli inglesi. Esattamente come avviene in Francia, non solo grazie all’attività dell’Académie française, ma anche attraverso le banche dati con le traduzioni terminologiche ufficiali (per es. quella del Quebec) e gli arricchimenti istituzionali del vocabolario nell’amministrazione e nelle professioni (per esempio cameraman → cadreur/, cast → distribution artistique, container → conteneur).
La Costituzione del Portogallo stabilisce che compito fondamentale dello Stato è “assicurare l’insegnamento e la valorizzazione permanente, difendere l’uso e promuovere la diffusione internazionale della lingua portoghese”.
In Svizzera la Costituzione del canton Grigioni, all’articolo 3, precisa che “il tedesco, il romancio e l’italiano sono le lingue cantonali e ufficiali equivalenti dei Grigioni”. E almeno dal 2014 il Consiglio Federale sta promuovendo l’italiano – più debole del francese e del tedesco – con ingenti fondi che prevedono il rafforzamento della presenza della lingua e della cultura italiana nell’insegnamento, nella formazione bilingue e con una serie di manifestazioni culturali anche attraverso concorsi e incontri su tutto il territorio. Mentre sul fronte dell’inglese si sono emanate linee guida e raccomandazioni per evitare l’abuso degli anglicismi. Ma fuori dal cantone l’italiano è una delle lingue federali della Svizzera sancita nella sua Costituzione da quasi duecento anni.
E anche nella Costituzione romena si legge che “in Romania la lingua ufficiale è la lingua romena”.
Se il discorso di Giorgia Meloni e il disegno di legge di Roberto Menia arrivano da una precisa parte politica, il “partito dell’italiano”, della sua valorizzazione, promozione e tutela è trasversale a ogni schieramento ideologizzato ed è ben più ampio. E dovrebbe guardare proprio alle Costituzioni e ai provvedimenti degli altri Paesi invece che al ventennio.
Il “partito dell’italiano”: un tema trasversale a ogni ideologia
Tra le forze in campo non ideologizzate c’è proprio un’istituzione come l’accademia della Crusca, che attraverso i comunicati del Gruppo Incipit, dal 2015 biasima gli anglicismi istituzionali promuovendo gli equivalenti italiani. E in alcune recenti interviste il presidente Marazzini ha appoggiato la proposta di Menia che “dice che l’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica (come in Francia) e che tutti i cittadini hanno il dovere di conoscerla e il diritto di usarla (come in Spagna)”.
Accanto a questi due modelli Marazzini guarda con simpatica soprattutto a quello del Portogallo, dove il riferimento alla lingua è “inserito nei compiti fondamentali dello Stato, fra i quali rientra, appunto, l’assicurare l’insegnamento e la valorizzazione permanente, difendere l’uso e promuovere la diffusione internazionale della lingua portoghese. Un compito attivo, di promozione. Che compare fra quelli di garantire l’indipendenza nazionale e i diritti di libertà”.
Oltre alla Crusca, il partito dell’italiano e della sua valorizzazione può contare sull’appoggio di numerosi altri pezzi importanti della società civile trasversali a ogni schieramento politico.
Recentemente ho partecipato a una riunione su questo tema sollecitato dal presidente della FEI (Federazione Esperantista Italiana) Luigi Fraccaroli a cui ha contribuito il professore Ordinario di Filosofia della politica e del diritto Giuseppe Limone, anche lui promotore di un’iniziativa per inserire l’italiano in Costituzione già dall’anno scorso. Tra i partecipanti c’era poi il professor Michele Gazzola, che proprio in seguito alla presentazione del disegno di Legge Menia e alle dichiarazioni di Marazzini ha auspicato di cogliere il momento propizio per intervenire aprendo tutti quanti un dibattito sulla lingua italiana per porre la questione in primo piano in Italia e stimolare la discussione sui mezzi di informazione.
E tra le iniziative volte a una mobilitazione della società civile e a innescare riflessioni e dibattiti c’è poi l’attività che ormai da sei anni sto conducendo attraverso i miei libri e le mie pagine in Rete, a partire dal dizionario AAA delle Alternative Agli Anglicismi, grazie alle sinergie con il portale Italofonia.info, la comunità degli Attivisti dell’italiano, e i firmatari delle petizioni a Sergio Mattarella, ma soprattutto quelli della petizione di legge sull’italiano.
La nostra legge sull’italiano: ultimi giorni per sottoscriverla prima dell’invio
Nel 2021 ho presentato una petizione di legge sul problema dell’italiano e della sua anglicizzzione che è stata assegnata sia alla Camera sia al Senato. Ogni tentativo di cercare in Parlamento appoggi perché venisse posta all’ordine del giorno, nella scorsa legislatura, è però fallito, nonostante oltre 2.100 cittadini l’abbiano appoggiata sottoscrivendola e lasciando la propria firma.
Visto che nel frattempo il nuovo Governo si sta mostrando sensibile alla questione e sta proponendo analoghe proposte di legge, è arrivato il momento di chiudere la raccolta firme e di mandarle in Parlamento, nella speranza che le nostre istanze siano prese finalmente in considerazione e contribuiscano al dibattito.
In gioco non c’è solo l’inserimento dell’italiano in Costituzione, che avrebbe un alto valore simbolico, ma anche tutta una serie di altri provvedimenti che si potrebbero e dovrebbero affiancare. Per prima cosa una campagna per la promozione della nostra lingua attraverso i canali istituzionali di sensibilizzazione sociale e le “pubblicità progresso”, perché l’italiano sia rivalutato, invece di essere svilito di fronte agli anglicismi e perché cessi la provinciale e servile aberto-sordità con cui gli anglicismi sono vissuti come più evocativi. Questo obiettivo si può raggiungere anche attraverso l’emanazione di linee guida per la comunicazione amministrativa e istituzionale, come in Svizzera, e come da noi è stato già fatto per la femminilizzazione delle cariche e il linguaggio non sessista. Un’istituzione come la Crusca dovrebbe essere potenziata e posta al centro di questa strategia che più in generale dovrebbe abbracciare anche altri temi strategici: la difesa dell’italiano come lingua di lavoro nell’Ue, la sua valorizzazione all’estero come bene da esportare, la sua difesa come lingua della formazione universitaria.
E soprattutto, se passa il concetto formulato da Menia che “L’italiano è la lingua ufficiale dello Stato. Tutti i cittadini hanno il dovere di conoscerlo e il diritto di usarlo” bisognerà rivedere alcuni provvedimenti istituzionali come l’obbligo di presentare i progetti di ricerca di rilevanza nazionale (Prin) o le domande per il fondo italiano per la scienza (Fis) in lingua inglese invece che nella nostra. Se i cittadini hanno il diritto di usare l’italiano queste vergogne dovranno essere cancellate.
Chi volesse leggere e firmare la petizione può farlo a questo indirizzo ancora per pochi giorni.
Grazie, e buon 2023 a tutti.