Un “alert” per la lingua italiana (anatomia dell’imposizione di un “prestito”)

di Antonio Zoppetti

Il nuovo “sistema di allarme pubblico per l’informazione della popolazione” che ci avvisa tramite un messaggino delle emergenze legate alla protezione civile ha un nome in inglese (che novità!): IT-Alert.

Questa scelta si inserisce in una prassi che da tempo non solo vuol fare dell’inglese la lingua dell’apparato burocratico-amministrativo dell’Europa, ma lo vuole imporre anche ai cittadini dell’Ue, benché sia una direzione illegittima (non esiste alcuna carta che ufficializzi l’inglese) che calpesta i principi dell’Unione fondati sul plurilinguismo.

Da quello che ho potuto ricostruire (se non vado errando), la differenza rispetto ai messaggi di prova già avviati in Francia e in Spagna è che da noi l’allarme è diramato non solo nell’idioma nazionale, ma anche in inglese, con la stessa logica del bilinguismo a base inglese utilizzato per esempio nella comunicazione delle stazioni e dei treni. Il plurilinguismo di una volta che presupponeva una comunicazione in italiano, francese, tedesco e inglese è stato cancellato, e la nuova strategia presuppone che tutti i turisti debbano sapere l’inglese. È la stessa logica con cui si concepiscono – tra le polemiche (almeno all’estero) – in modo bilingue i documenti come la carta d’identità, la patente o la certificazione verde dei vaccini contro il virus a corona. Applicare gli stessi principi anche agli allarmi pubblici non è però solo discriminatorio sul piano etico, è anche pericoloso su quello pratico. Di fatto l’inglese è conosciuto dal 20% dell’umanità, e non è detto che sia recepito da tutti. E chi non sa l’inglese o l’italiano? Peggio per lui, evidentemente può anche crepare. Eppure aggiungere una traduzione anche in altri idiomi non rappresenterebbe di certo un costo significativo. Ma questa logica che vale per le istruzioni di tutti i manuali degli elettrodomestici non vale per le emergenze nazionali.

Passando alla comunicazione in italiano, la scelta di usare la parola “test” invece di un più immediato e popolare “prova” (come in Spagna) la dice lunga su come le istituzioni abbiano a cuore la nostra lingua.
Certo, anche se qualcuno al microfono esordisce ancora con “tza tza prova” invece di un ben più moderno e internazionale “tza tza test”, quest’ultimo anglicismo è ben radicato, e non pone problemi di comprensibilità. Ma da quando, invece, un allarme è diventato un alert?

Mentre i linguaioli sono imprigionati nelle categorie dei prestiti di lusso e di necessità che vivono solo nella loro scatola cranica, la ricostruzione storica dell’allargarsi di alert aiuta un po’ meglio a comprendere come stanno le cose.

All’erta siam anglicisti!

L’etimo di allerta deriva dalla locuzione all’erta del gergo militare, che ha a che fare con una salita (erta) per scalare un luogo elevato da cui è possibile controllare un territorio (“All’erta!” “Allerta sto!”). È lo stesso meccanismo che ha generato allarme, letteralmente all’arme, cioè una chiamata a impugnare le armi perché arriva il nemico. Per tutto il Novecento i “red alert” che vedevamo lampeggiare nei film sono sempre strati tradotti con “allarme rosso” e a nessuno sarebbe venuto in mente di parlare di alert invece che di allarme. Nel nuovo millennio l’anglicismo ha invece cominciato a imporsi e a guadagnare terreno.

Più che un “prestito” per nostra volontà, questo bellissimo “dono” è il risultato dell’esportazione della lingua dei Paesi dominanti ai popoli inferiori, e per comprenderne i meccanismi di propagazione si può incrociare l’aumento delle occorrenze rilevato dall’archivio di Google libri con quello che si registra nell’archivio del Corriere.it. Come si vede in figura, dal 2000 al 2010 le occorrenze sono passate da una all’anno alla decina, per salire nell’ordine delle decine negli anni Venti e apprestarsi forse a raggiungere le centinaia nel prossimo decennio.

Entrando nelle notizie e analizzando i contesti di utilizzo, il percorso è chiaro, e si possono delineare tre fasi.

FASE UNO
All’inizio alert faceva parte di citazioni virgolettate dall’inglese, di articoli in inglese o di denominazioni di sistemi inglesi. Il primo a usare questa parola è stato Beppe Severgnini nella sua rubrica “Italians” e fino al 2003 la parola si trovava solo nei suoi pezzi. Quello stesso anno, tuttavia, arrivò Google a imporre la lingua d’oltreoceano a tutti, grazie al servizio “Google Alert” che permetteva di abbonarsi e ricevere automaticamente sulla casella di posta le notifiche per determinate parole chiave. Nello stesso periodo anche tutti gli altri sistemi informatici hanno contribuito a “prestarci” gentilmente la stessa parola, insieme a centinaia di altre non tradotte come download, spam, email, file, time-line… perché le multinazionali d’oltreoceano tendono a colonizzare i mercati conquistati, più che a rispettarne le peculiarità (a meno che ciò non comporti qualche penalizzazione sul mercato, e allora traducono). Dunque, le occorrenze sul Corriere di volta in volta riguardavano contesti come: “Da un po’ di settimane ho cominciato a ricevere degli «urgent fraud alert notice» alla mia casella di posta elettronica” (2005); “I continui messaggi di alert dei social-network («Sei stato invitato a…» (2009); “Vine, il social network delle emergenze (…) É anche possibile impostare Vine in modo che gli alert vengano trasmessi sul proprio telefono cellulare” (2009). Accanto a questi usi informatici, continuavano a circolare anche gli usi dovuti al riferire di cose americane senza tradurle (“A rivelarlo è la Fox news, all’indomani del travel alert lanciato dagli Stati Uniti per i cittadini americani che viaggiano in Europa”, 2010), e complessivamente la parola ci arrivata da queste pressioni esterne.

FASE DUE
Dalle citazioni e dall’esportazione dell’inglese informatico, il passo successivo è stato l’emulazione da parte dei sistemi informatizzati della colonia Italia, che hanno cominciato a usare “alert” al posto di avviso (ma circola anche warning) o di allarme anche per la realtà nostrana: “Parte oggi il servizio «Sms Alert» e viene sperimentato da 500 passeggeri Atm” (2008); “Il nuovo sistema di allerta in caso di emergenze del Comune di Firenze. `Alert system Firenze´, questo il nome dell’applicazione…” (2014). È chiaro che se i sistemi informatici americani dicono alert, anche noi figli di Nando Mericoni dobbiamo adeguarci.

In questo modo alert in un primo tempo è penetrato nell’italiano ricavandosi un suo significato peculiare di tecnicismo (che non esiste in inglese) come un allarme/avvertimento automatizzato. E i giornalisti hanno cominciato a usare l’anglicismo in questi contesti, per la gioia del “non-è-proprista” che davanti all’obiezione per cui il “prestito di lusso” era del tutto fuori luogo avrebbe potuto rispondere con la solita tiritera: “Alert non è proprio come allarme, che ha una valenza più generica, si riferisce agli avvisi informatizzati…” e altre simili idiozie.

FASE TRE
Intanto l’anglicismo veniva importato sostituendo l’italiano anche in altri contesti e con ben altre valenze, tutte figlie dell’americanizzazione della cultura, per cui in un pezzo del 31 luglio 2012 si poteva leggere che le aragoste sono in grado di comunicare tra loro per esempio mettendosi in “stato di alert (animale sta dritto sulle zampe posteriori)”. In men che non si dica, da tecnicismo informatico alert ha cominciato a essere usato sul Corriere anche in senso lato al posto di allarme entrando nel linguaggio comune a partire dal 2015. E così, nel 2017, la parola è passata dai giornali ai vocabolari ed è stata aggiunta tra i lemmi dello Zingarelli. Mentre l’anglicizzazione permeava già la maggior parte dei neologismi, il 27 novembre 2018, tra i tanti esempi che si possono fare, si poteva leggere che le domande di aiuto psicologico degli studenti sono “un alert impossibile da non considerare che spinge l’Ateneo, ma anche l’intera città universitaria, a riflettere sul suo futuro.” In questo aumento delle frequenze e in questo allargamento di significato, in epoca di covid la moltiplicazione degli alert informatico-sanitari è cresciuta, e oggi siamo arrivati all’istituzionalizzazione di IT-Alert.

A questo punto è chiaro che alert è stato esportato in tutto il mondo globalizzato, e noi semmai, da veri colonizzati, alla fine lo abbiamo accettato senza remore ed emulato. Un’analisi delle occorrenze della parola in italiano (azzurro), francese (rosso) e spagnolo (verde) mostra bene che l’espansione delle multinazionali ha un impatto mondiale, anche se le occorrenze altrove sono più basse, oppure dopo un primo picco si sono poi abbassate, come in Francia (un Paese retrogrado che difende la propria lingua), mentre da noi continuano a salire.

Scenari futuri

Ho letto su un sito di collaborazionisti dell’inglese una piccata lamentela sul fatto che la parola è pronunciata “erroneamente” come “àlert” mentre bisognerebbe dire “alèrt” come in inglese. E questo è davvero inaccettabile per chi considera l’itanglese non come una creolizzazione della nostra lingua e cultura ma come un uso improprio della lingua sacra.

Il punto è che simili anglicismi che ci arrivano per via scritta non si amalgamano con il nostro sistema fonologico, e visto che la conoscenza dell’inglese è bassa, ecco che la pronuncia diventa problematica. Le nostre parole tendono a terminare in vocale e non in consonante, e l’accento si ritrae istintivamente, per cui alert segue il modello di Alberto-Albert e di pronunce per analogia basate su parole come transfert, contest, water, poster, escort… Ecco spiegata l’anticipazione non ortodossa, che si ritrova per esempio anche in “rèport” invece di “ripòrt” o “Nòbel” invece di “Nobèl” (per passare allo svedese). È probabile che nei prossimi anni gli anglopuristi avranno la meglio su queste pronunce da ignoranti che storpiano la purezza della lingua delle multinazionali e forse in futuro queste “italianate” cesseranno come è già successo a chewingum, puzzle, jumbo, cult… che solo in tempi recenti sono state finalmente anglicizzate anche nella dizione, come sta accadendo per i latinismi junior, plus, media

Quanto al lessico, forse verrà un giorno in cui ritorneremo a dire allarme invece di alert – come profetizza qualcuno sulla base del nulla – ma tutto lascia presagire che l’anglicismo sia destinato a radicarsi e a diffondersi, anche se la speranza è che non si trasformi in un prestito sterminatore, come nel caso del computer che ha scalzato e soppiantato il calcolatore.

Poiché questi trapianti non sono isolati, probabilmente alert si comporterà come moltissime altre parole inglesi, che una volta intrufolate mettono radici e fanno famiglia. Si possono prevedere future locuzioni in cui si ricombinerà forse con altre radici inglesi (es. alert system invece di sistema d’allarme, con inversione sintattica) o darà vita a parole macedonia mescolate all’italiano.

Soprattutto, se questo anglicismo continuerà a penetrare nel linguaggio comune e ad allargarsi, si prevedono forti cambiamenti morfologici come per moltissime altre parole inglesi. Per esempio, come chiamare un servizio di allarme se non alerting? Tra i neologismi della Treccani questa parola è già stata avvistata e registrata: “Non convincono invece i servizi di simulazione di finanziamento (…) e i servizi di alerting (www.ilsole24ore.com 04/09/2004)”.

Ma allora come chiamare, che ne so, un dispositivo di allarme o un addetto a questo tipo di servizio se non “alerter”? Anche questi precedenti si intravedono in denominazioni come il “segnalatore acustico SIP Audio Alerter 8186”.

Non vorrei passare per un fake-alerter, ma il mio timore è che presto l’allarmismo della storiella di chi grida a vanvera “al lupo! Al lupo!” potrebbe anche trasformarsi nell’over-alerting di Pierino e il coyote (se non direttamente Little Peter & the Wolf). Potrei sbagliarmi, certo (e lo spero), ma tutto ciò lo abbiamo già visto e lo stiamo vedendo con i corridori che diventano runner, con i negozi che diventano shop tra lo shopping e gli shopper, con i blog, i blogger e il blogging, mentre il cucinare è cooking, la coabitazione cohousing, e chi più ne ha più ne metting!

22 pensieri su “Un “alert” per la lingua italiana (anatomia dell’imposizione di un “prestito”)

  1. La pubblicazione degli avvisi anche in inglese risponde secondo me anche alla mentalità di considerare il proprio idioma come fosse ostrogoto (con tutto il rispetto per i goti), al punto di mettere bilingui anche le scritte sui bidoni della raccolta differenziata….! Come se già l’icona non bastasse….
    E i collaborazionisti che “puntualizzano” la pronuncia di alert, li sfiderei a indovinare la pronuncia di parole come ad es. Greenwich, mayor, Tesco (supermercato) o Reading (cittadina del Berkshire).

    Piace a 1 persona

  2. Mi pare che da questo articolo ( più che da precedenti altri) traspaia la grande amarezza di Antonio nel dover constatare l’ ennesimo attentato alla nostra lingua.Magra consolazione che “alert” e “alarm” siano 2 dei tanti “cavalli di ritorno” partiti dalla lingua italiana e transitati dalla Francia prima di approdare in Inghilterra.

    "Mi piace"

    • A proposito dell’assurdità del concetto di “prestito”: parole come bank, manager, novel, mascara, sketch… sono state “prese in prestito” da banca, maneggio, novella, maschera, schizzo… ma adattate! Come avviene nelle lingue sane. Al momento della “restituzione” del “prestito” noi invece ce le riprendiamo con l’altrui restyling, visto che siamo malati.

      Piace a 1 persona

  3. A proposito di ” cavalli di ritorno”, il caso più emblematico è la parola “studio”: questa non è stata adattata (anche se segue le regole della lingua inglese nel plurale “studios”);la potremmo quindi definire un italianismo crudo.Il problema ,come al solito,consiste nel fatto che gli itanglesi ,riferendosi in particolare agli studi cinematografici,dicono e scrivono “gli studios di Hollywood” ,come se “studio”fosse per loro un vocabolo originale inglese, e lo fanno rimarcando con orgoglio quella sibilante finale che sa tanto di lingua inglese.

    Piace a 2 people

      • …e non solo! Mi hai fatto ricordare ciò che ho scritto in un mio vecchio commento alla voce “chewing gum ” nel dizionario AAA.Gli itanglesi non rispettano la nostra lingua ,ma ,a quanto pare ,gli anglofoni stessi
        non si preoccupano di come si pronunci l’italiano ( e anche le altre lingue)nella supposizione o arroganza che abbia le stesse regola di pronuncia della loro lingua. Benvenuto a Sàivitavìcia!

        "Mi piace"

  4. Segnalo:

    “Sisal Wincity Diaz, il primo punto di vendita Sisal eco-friendly, aderisce al progetto “No Plastic More Fun” in collaborazione con Worldrise Onlus”

    https://www.agipronews.it/attualit%C3%A0-e-politica/Sisal-Wincity-Diaz-primo-punto-vendita-Sisal-eco-friendly-aderisce-progetto-No-Plastic-More-Fun-collaborazione-Worldrise-Onlus-id.200674

    L’intero sito, non solo quell’articolo, è una gigantesca supercazzola di itanglese. Alcune perle:

    “Il Canvass Meeting Retail 2023 si è reso totalmente Carbon Neutral”

    “l’Azienda sta lavorando a un nuovo concept store altamente sostenibile”

    “Worldrise, già partner anche del portale di solidarietà Sisal WeDo”

    “No Plastic More Fun è il primo network al mondo di locali, club”

    “È da pochi minuti online il nuovo sito di newgioco.it, ora molto più “user-friendly” dopo il totale restyling.”

    “Il nostro universo betting è in continua espansione … Invitiamo tutti a scoprire le novità di Newgioco.it, che sono state tutte ispirate dalla nostra vision aziendale: «Live your chance».”

    “BrandingHero e DAZN riportano in campo il format MVP in partnership con GoldBetlive”

    “sono in palio 200 punti nel ranking per i vincitori e un montepremi di 60 mila euro … per un prize money totale di 120 mila euro”

    “Federico Chingotto e Miguel ‘Mike’ Yanguas … guidano l’entry list maschile; Maria Virginia Riera … sono invece le prime teste di serie del main draw femminile”

    “Oggi e domani si giocheranno i match di primo turno; giovedì, invece, sarà il giorno del debutto dei big che beneficiano di un ‘bye’…”

    “Il Futuro del Gaming e degli Esports in Italia: l’Osservatorio Italiano Esports presenta in Parlamento il Primo White Paper sul settore”

    “…il primo White Paper dedicato a questo settore rappresenta un documento fondamentale per gettare le basi di una nuova epoca per il gaming in Italia…”

    “E poi, la farà da padrone il tacchino homemade. SìSnack sarà il nome della proposta…”

    “Una salsa di accompagnamento homemade con lime e sale maldon impreziosirà il tutto”

    “Quanto al dessert, ispirato nel naming al gioco dei sapori “1, x, 2, punta sul più buono”…”

    “Ho molte aspettative sul contributo che Simone Rugiati potrà dare al progetto Food and Beverage di Sisal Wincity…”

    “SNAIFUN, l’app Snaitech che premia la cultura e la passione sportiva con news, quiz e pronostici, diventa Premium Partner di AC Milan. ”

    “In virtù di questa partnership, SNAIFUN consentirà a tutti gli utenti di poter concorrere ad attività di fan engagement e aggiudicarsi delle experience esclusive quali il Walkabout a San Siro … la training experience, la visita a Casa Milan del museo in compagnia di una Legend rossonera e i biglietti per le partite in casa dei rossoneri.”

    Piace a 1 persona

    • Grazie, contraccambio con una comunicazione della Rinascente segnalatami da Marco Zoomer:

      “Caldi tessuti delle collezioni uomo e donna fashion, ready-to-wear e timeless per la stagione autunnale: una destination in grado di soddisfare ogni desiderio, con tantissimi nuovi brand in assortimento e pregiati materiali, colori e lavorazioni.

      Vieni a scoprire la nostra selezione Knitwear in store e su Rinascente.it.

      Spedizioni standard gratis per ordini maggiori ai 30€ e resi gratuiti

      Scopri i nove store Rinascente

      Come raggiungerci Click & Collect in store
      Acquista online e ritira i tuoi ordini direttamente in store
      ON DEMAND CHAT&SHOP
      Fai shopping via WhatsApp. Chatta con noi al +39 344 …”

      "Mi piace"

      • Non mi meraviglio più delle segnalazioni di questo tipo perché anche a me capita spesso di trovare articoli di questo genere sfogliando riviste o giornali o di vedere cartelloni pubblicitari in itanglese in giro per le città. Ormai l’andazzo generale è questo: chi più anglicismi conosce,più ne utilizzi.Tanto varrebbe scrivere direttamente in inglese e poi chi comprende ,comprende.Io istintivamente ,pur avendo una conoscenza sufficiente della lingua inglese ,provo repulsione per questi pastoni ibridi ed evito di leggere gli articoli ,i comunicati e le pubblicità infarciti di anglicismi per non incorrere in travasi di bile. Eppure,come sappiamo ,davanti all’evidenza esistono ancora linguisti che negano che l’italiano sia ormai in grave difficoltà ( è risaputo che le lingue si regolano da sole),mentre una buona parte della popolazione appare assolutamente indifferente al problema.

        Piace a 2 people

  5. Ciao Antonio. Spero ci sia un’affissione o commento su questo articolo sull’Inglese farlocco(https://www.ft.com/content/de903eec-430b-44d8-b219-2181c6b79504?fbclid=IwAR3HMdRBZQVP0P0BBMClIxB-gjK_bOLF0e-fNW-EOjjlySCu2IOfam1cxUc). Come al solito la detrattrice dell’Italiano dice che non c’è da preoccuparsi, che è una lingua viva e che sia normale che una lingua attinga esclusivamente dall’inglese. Più che viva, direi lingua zombie!

    Piace a 1 persona

    • Agli inglesi dà fastidio che il loro idioma che vogliono rendere la lingua internazionale sia “sporcato” da chi ricorre agli pseudoanglicismi. Anni fa investirono in un dizionario (il DEA) che studiava il fenomeno tra le più importanti lingue europee con lo scopo di classificare queste voci, e anche di biasimarle, perché sono un ostacolo al loro progetto espansionistico.

      Premesso che il fenomeno è internazionale, e non ho dati sul fatto che saremmo i primi in classifica, come affermato (ma anche nell’articolo non vedo questi dati a sostegno della loro affermazione), quello che stupisce è la posizione dei collaborazionisti italiani di questa “dittatura dell’inglese”, come all’estero qualcuno l’ha chiamata molto chiaramente. Costoro non sono minimamente interessati all’italiano né alle altre lingue locali, non raccontano che lo tsunami anglicus è un effetto collaterale della globalizzazione né che l’inglese internazionale è una minaccia per le lingue minori che muoiono proprio perché si impone l’inglese che le soffoca (soprattutto in Africa), né di quelle che si creolizzano, come la nostra. E quindi invece di denunciare l’anglificazione si preoccupano perché circolano gli pseudanglicismi, e se ne escono con commenti come “ci hanno presi con le mani nella marmellata” (che vergogna!), oppure spacciano il colonialismo linguistico a base inglese come “dinamismo linguistico”. Gli pesudoanglicismi invece non sono “diamismo linguistico” dal punto di vista degli inglesi, mentre dal punto di vista dei colonizzati italiani forse è questo il dinamismo dell’italiano? Bella vitalità quella di avere un lessico del Duemila che per la metà è formato da anglicismi spacciati per “neologismi”. In questa ristrettezza di vedute ben schierata in favore dell’anglificazione mondiale ecco che se ne escono con affermazioni come quella dei “buontemponi” che vorrebbero proteggere la lingua, facendo finta che in Francia non sia qualcosa di sano e di normale, ignorando che in Islanda la figura del neologista sia istituzionale, e voltandosi dall’altra parte di fronte ai difensori del plurilinguismo di tutto il mondo che osano criticare il monolinguismo a base inglese. Queste posizioni giustificazioniste dell’ingiustificabile continuano a propagandare la tesi per cui internazionale = inglese. Il che è funzionale ai loro interessi. E questo atteggiamento non ha nulla a che vedere con l’essere “di sinistra”, è una posizione di destra molto più estrema di quella di FdI: l’inglese sta riproponendo una diglossia neomedievale che impone la lingua della nuova tecnocultura a scapito delle lingue locali e dei ceti sociali più deboli, è una scelta elitaria che crea fratture sociali e divisioni (per citare il rapporto dell’Accademia francese), e che punta a imporre la lingua dei Paesi dominanti, e costruire un mondo che pensa e parla in inglese e a rendere gli idiomi locali dei dialetti, visti come un ostacolo alla comunicazione.

      "Mi piace"

Lascia un commento