Di Antonio Zoppetti
Quest’estate, dall’11 giugno al 21 settembre, in oltre 3.000 cinema sarà possibile vedere i film italiani ed europei al prezzo speciale di 3,50 euro. Il forte sconto per promuovere il cinema europeo è un’iniziativa del Ministero della Cultura che ha richiesto un investimento di circa 20 milioni di euro, e la sottosegretaria alla Cultura con delega al Cinema, Lucia Borgonzoni, ha dichiarato: “Un messaggio forte, sostenuto da un grande investimento: le sale sono importanti presidi sociali e culturali, riteniamo che sostenerle sia un dovere e per questa estate abbiamo messo a punto un gioco di squadra che vede il Governo e l’intero sistema cinematografico italiano scendere in campo per la loro ripartenza.”
E come si chiama questa preziosa e costosa campagna? In itanglese, of course: CINEMA REVOLUTION. Perché la lingua italiana non è affatto un “presidio sociale e culurale” da sostenere, ma da affossare.
I nostri politici e la nostra classe dirigente proprio non ce la fanno a parlare in italiano. Non vogliono. Se ne vergognano. Persino quando devono promuovere il prodotto italiano che chiamano Made in Italy, o quando inaugurano mostruosità come Open to meraviglia, che segue altri due portali voluti da Dario Franceschini, miseramente falliti con grande spreco di denaro pubblico: Very Bello del 2015 e ITsART del 2021.
Questa lingua creola ostentata da chi è colonizzato nella mente non è più né italiano né inglese, ed è promossa e diffusa dalle istituzioni in modo ufficiale.
L’italiano sta bene solo nella mente di certi linguisti
I linguisti sono liberissimi di utilizzare i loro schemini astratti e semplicistici basati sullo strambo concetto di “prestito linguistico”; e anche di contrabbandare come cose “reali” i loro giudizi soggettivi – che non stanno in piedi né dal punto di vista logico né da quello storico – per esempio distinguendo i prestiti di “necessità” e di “lusso”, dove la necessità è solo nella loro testa. Quando invece se ne escono con affermazioni per cui la lingua italiana starebbe benissimo stanno semplicemente dicendo sciocchezze che non sono avvalorate da alcun dato.
L’italiano è in regressione da tutti i punti di vista. Non è più una lingua di lavoro dell’Ue, viene messo in discussione come lingua della formazione universitaria, è stato sostuito dalla lingua inglese per i progetti di ricerca e scientifici (i Prin e i Fis), nella scuola è insegnato sempre peggio (e di generazione in generazione i giovani hanno delle lacune sempre più pesanti), e come se non bastasse si sta ibridando con l’inglese in sempre più ambiti, al punto che nel mondo del lavoro o dell’informatica siamo di fronte a un collasso di dominio: la nostra lingua non è più in grado di esprimere con proprie parole interi settori della modernità. Dallo spoglio dei dizionari emerge che negli ultimi 30 anni abbiamo accumulato più anglicismi di quanti ne abbiamo accolti negli ultimi 6 secoli: nel 1990 quelli non adattati erano circa 1.600 e oggi son più di 4.000, senza contare che costituiscono circa la metà delle parole nuove degli anni Duemila. Dunque l’italiano si sta evolvendo quasi solo importando parole crude provenienti da una sola lingua.
Il fenomeno dell’ibridazione è qualcosa di inedito nella storia dell’italiano; ci sono ormai centinaia e centinaia di parole e di espressioni miste, come zoomare o computerizzare, fashionista e librogame, over-sessanta, baby-delinquente e cyber-sicurezza… mentre intere famiglie di parole si formano a partire dalla combinazione di radici inglesi da fast food a pet food, da pet sitter a pet shop e bookshop… comprese le reinvenzioni all’italiana che con l’inglese ortodosso hanno poco a che fare come smart working o beauty farm. Tutto ciò non si è mai visto, soprattutto ai tempi della moda del francese, visto che le ibridazioni di questo tipo si contano sulla dita di una mano (voyeurismo, foularino, moquettista o parquettista, non c’è molto altro). Un linguista serio dovrebbe saperlo e raccontarlo, invece di omettere i dati e perseguire la strategia dello struzzo facendo credere che non stia succedendo niente o che sia tutto “normale”.
In questa follia anglomane questi “prestiti” sono sempre più sintattici: si portano cioè con loro l’inversione della struttura dell’italiano, per cui ci sono i covid hospital invece degli ospedali covid, gli election day invece del giorno delle elezioni e la rivoluzione del cinema (ma andrebbe bene anche rivoluzione cinema) diventa cinema revolution. Ma i linguisti, invece di studiare e mostrare quello che sta accadendo, preferiscono la rimozione psicotica della realtà e – fermi alle questioni del purismo o della lotta ai barbarismi del ventennio – esprimono le loro avulse serafiche opinioni campate per aria e perseverano diabolicamente nel voler spiegare l’attuale interferenza dell’inglese con gli schemini dei prestiti di lusso e di necessità di un secolo fa.
Che razza di prestito è cinema revolution?
Che razza di “prestito” è “cinema revolution”?
Passando alle cose serie, “cinema revolution” non è affatto un “prestito” né di “lusso” né di “necessità”, è l’espressione più evidente del tracollo dell’italiano, dell’ufficializzazione dell’itanglese istituzionale, dell’inversione sintattica di una newlingua creola che si sta acclimatando come l’italiano newstandard. È la logica dell’Alitalia che si rinomina in ITA Arways, della pallacanestro che diventa basket (invece semmai di basketball), del settore alimentare che diventa food, delle librerie che si denominano bookshop e dei parrucchieri che diventano hair stylist, dei promotori che si definiscono promoter e dei registi che si proclamano film maker… Tutto ciò ha a che fare con l’abbandono dell’italiano (altro che prestiti!) e con il trapianto di suoni, grafemi e concetti in inglese e pseudoinglese.
Dono o abbandono?
C’è qualche linguista che ha pensato bene di salutare i “prestiti” come dei “doni” con una stomachevole retorica che evoca l’accettazione del diverso e l’accoglienza, e con una manipolazione delle parole che fa credere che gli anglicismi siano un qualcosa in più, una ricchezza che si aggiunge, mentre al contrario sono una sorta di colonizzazione da parte di una lingua dominante, si rivelano sempre più spesso dei “prestiti sterminatori” che fanno piazza pulita del nostro lessico, come è successo a calcolatore abbandonato davanti a computer, e ormai inutilizzabile, e come succede con ogni espressione inglese importata senza alternative che viene spacciata per necessaria (il che è una scelta precisa e un giudizio, non una “necessità”) dal mouse al lockdowm, dal green pass al question time, dai download alla privacy, dai follower agli influencer, dagli hater ai caregiver…
L’accettazione di questa lingua non ha nulla a che fare con l’accoglienza e con i doni, gli anglicismi sono doni come lo fu il cavallo di Troia, e l’inglese non rappresenta una risorsa in più, si è rivelato un processo sottrattivo che si trasforma nel depauperamento linguistico, sia a livello lessicale sia quando lo si vuole introdurre come lingua dell’università. I Paesi come la Svezia che da tempo formano in inglese se ne sono resi conto benissimo e stanno facendo marcia indietro, perché insegnare in inglese significa far regredire la propria lingua.
Gli anglicismi sono gli effetti collaterali della globalizzazione linguistica, del disegno di far diventare l’inglese la lingua della comunicazione internazionale e di considerarlo una lingua superiore. Sono il frutto del complesso d’inferiorità di una classe dirigente formata da collaborazionisti dell’inglese che stanno uccidendo l’italiano e non sono nemmeno in grado di rendersene conto. Dunque minimizzano e negano. Anglicizzano e distruggono credendo di essere moderni e internazionali.