L’anarchismo linguistico italiano e la politica linguistica francese

Mentre la nostra Gazzetta Ufficiale si “arricchisce” di anglicismi istituzionali di giorno in giorno, lo scorso 29 maggio, sulla Gazzetta Ufficiale francese, le alternative a molti anglicismi dell’ambito dei videogiochi e degli audiovisivi sono ufficialmente entrate nella lingua di Moliére.

Il processo di regolamentazione della lingua e la creazione di neologismi autoctoni è coordinato dalla Délégation générale à la langue française et aux langues de France, che coinvolge non solo la Commissione per l’arricchimento della lingua francese dell’Accademia di Francia (che sarebbe il corrispondente della nostra Accademia della Crusca), ma anche il Ministero della Cultura, visto che l’organo si muove all’interno dell’autorità del Presidente del Consiglio dei Ministri.
In questa cornice istituzionale ben coesa, sono state coniate le alternative ufficiali a molti termini. Si tratta di soluzioni codificate, chiare e precise, che permettono di esprimere in francese tutta una serie di concetti che in italiano si esprimono solo in inglese.

Un “cloud gaming” diventa semplicemente un videogioco in nuvola (jeu video en nuage), uno “streamer” un giocatore/animatore in diretta (joueur/animateur en direct) e un “pro-gamer” un giocatore professionista (joueur professionnel).

Questa terminologia non è solo fortemente raccomandata – in altre parole consigliata a chi vuole parlare in francese, prima di tutto i giornali – ma è anche il punto di riferimento ufficiale che i funzionari pubblici devono seguire. Il che non significa che i videogiocatori non possano comunicare tra loro nel proprio gergo, visto che ognuno parla come vuole, significa al contrario che esistono delle parole ufficiali da usare nei registri alti e nella comunicazione istituzionale.


Avere simili punti di riferimento permette di arginare il depauperamento della lingua davanti all’invasione di parole inglesi, un fatto su cui l’Accademia francese e le istituzioni hanno espresso grandi preoccupazioni perché, oltre a impoverire il francese, crea fratture sociali e barriere generazionali che portano all’incomprensione, alla mancanza di chiarezza e trasparenza, e dunque al venir meno della lingua come collante sociale (cfr.”Anglicismi: perché l’Académie française è preoccupata“).

Questo atteggiamento di tutela del proprio idioma in Francia fa parte di una politica linguistica che esiste da decenni e che è volta anche ad arginare gli anglicismi in ogni settore, non solo quello dei videogiochi. La terminologa Maria Teresa Zanola, studiando la reazione al “franglese” supportato dalle iniziative pubbliche e private in ambito tecnologico, ha osservato che questa continua coniazione di neologismi sta rendendo il francese una lingua molto vitale (“Les anglicismes et le français du XXIe siècle : La fin du franglais ?”, Synergies Italie, n. 4,‎ 2008). La nostra lingua, al contrario regredisce proprio a causa dell’inglese, e la metà dei neologismi del nuovo Millennio è in inglese crudo perché l’italiano non sta producendo più nulla, si limita a importare anglicismi che spesso finiscono per soppiantare le nostre parole anche quando già esistono.

La notizia di questo ultimo arricchimento del francese è rimbalzata non solo in Francia, ma persino su The Guardian. In Italia, invece, è uscita su piccole riviste magari di settore, e un giornale come il Corriere della Sera, non l’ha minimamente ripresa.
Sulla pagina principale del Corriere.it di oggi c’è invece un pezzo, alla sezione “videogame”, che parla di “Spiderman Remastered”, perché l’Uomo ragno che leggevo da bambino oggi si dice in inglese, una riedizione diventa “remastered”, mentre i giocatori sono “gamer” e le scarpe da ginnastica sono diventate “sneakers” “super tech”. Nel pezzo accanto si legge del “mermaiding” che da giorni il Corriere promuove come lo sport dell’estate con vari articoli, un orologio subacqueo diventa uno “sport watch da marine”, e non parliamo di diodi luminosi, ma soltanto di “led”.

A parte il numero di parole inglesi abnorme, quello che impressiona è che gli anglicismi diventano “prestiti sterminatori” che uccidono le nostre parole.
“Mermading” non circola sui giornali francesi che parlano di nuoto a sirena (nage sirene) o di tenuta da sirena, ma non si trova nemmeno in quelli spagnoli, siamo solo noi che ci riempiamo la bocca di queste americanate, incapaci di usare la nostra lingua di cui ormai ci vergogniamo.

I pochi articoli italiani che hanno riportato la notizia che arrivava dalla Francia l’hanno presentata come una bizzarria, come qualcosa di assurdo o di anacronistico tipico dello sciovinismo francese, commentando con il solito guazzabuglio di luoghi comuni: tutto ciò ricorda la guerra ai barbarismi di epoca fascista; l’inglese è più corto, è moderno e internazionale; tradurre è ridicolo; non si può imporre alla gente come deve parlare…

Questa sciocchezza dell’inglese più corto e maneggevole dovrebbe davvero finire. Prima dell’avvento del computer, la scrittura avveniva con la “macchina da scrivere”, una locuzione certamente lunga, ma che nessuno ha mai messo in discussione perché mancava una parola “corta”. Al suo apparire, le polemiche iniziali riguardavano il fatto che sarebbe più corretto dire “macchina per scrivere”, ma alla fine i “puristi” hanno dovuto arrendersi davanti all’uso dilagante dell’espressione meno corretta. Eppure nessuno ha mai sentito l’esigenza di abbandonare l’italiano per usare una parola sola, magari in inglese come typewriter. Sarebbe stato inconcepibile e avrebbe suscitato reazioni negative.

Le resistenze davanti ai neologismi sono una costante che deriva anche da secoli di purismo. Ogni nuova parola, inizialmente, ci appare brutta solo perché non siamo abituati a sentirla, come aveva capito Leopardi. Come ha osservato Luca Serianni, questa resistenza alle neologie ha una sua funzione utile alla conservazione della lingua e alla sua coesione. Il fatto grave è che questa ostilità per i neologismi, nella colonia Italia, non è affiancata da un’analoga resistenza di fronte alle parole nuove in inglese, che al contrario ogni volta ci appaiono belle, utili, necessarie, intraducibili, o in grado di evocare qualcosa di diverso dall’equivalente italiano. La combinazione di questi due fattori risulta micidiale (ne ho già parlato in “Orribili neologismi e sedicenti anglicismi: dal purismo all’anglopurismo”), perché mentre l’inglese è sempre accolto tra i plausi, i neologismi italiani e le traduzioni ci schifano. Le conseguenze sono il collasso degli ambiti, la perdita dell’identità dell’italiano, l’itanglese che diventa la lingua della modernità e l’italiano che perde il suo suono storico e muore senza sapersi rinnovare.

La questione della guerra ai barbarismi non c’entra nulla con l’evoluzione e l’arricchimento del francese. Il problema non sono i forestierismi, da condannare per motivi di principio, sono gli anglicismi, e solo quelli, che per il loro numero e la loro invadenza stanno snaturando e colonizzando le lingue locali.
E non è vero che le alternative raccomandate in Francia sono coercizioni che impediscono alla gente di parlare come vuole. Se le alternative vengono coniate, esistono, e vengono promosse, ricorrere all’inglese diventa una scelta sociolinguistica, non una necessità, come in Italia. In Francia, al contrario, sono liberi di scegliere! A proposito di “libertà”, dovremmo renderci conto che da noi avviene tutto il contrario: la gente finisce per parlare come ci impongono i giornali e il linguaggio istituzionale. Quando i politici legiferano attraverso il jobs act, i caregiver, il cashback… quando si introducono il lockdown, il green pass, le dosi booster… quando i giornali annunciano il marmaiding, il gaslighting o il body shaming, non stanno utilizzando il linguaggio “della gente” stanno educando gli italiani a parlare in itanglese. E quando le multinazionali americane ci impongono il loro linguaggio fatto di snippet, widget, follower… e tutta una serie di termini che noi accettiamo con servilismo senza tradurre e adattare, la lingua non è più fatta dai nativi italiani.

L’idea che la lingua italiana sia un processo naturale, nato dal basso e dall’uso popolare è una convinzione falsa e antistorica. La lingua è un fatto politico; e non solo si può orientare, si orienta e si è sempre orientata dall’alto, ma è necessario orientarla per mantenere l’identità linguistica e la coesione sociale. L’italiano è una lingua letteraria nata dall’alto, orientata per secoli prima dall’Accademia della Crusca e poi dagli interventi amministrativi, politici e istituzionali. E soprattutto, l’unificazione dell’italiano è avvenuta solo nel Novecento proprio grazie alla lingua dei mezzi di informazione, che oggi la stanno al contrario distruggendo e trasformando in itanglese.

Non si può negare la storia e far credere che non sia così e che in Francia siano matti. I malati siamo noi! Il liberismo linguistico per cui una lingua va studiata, non va difesa, si sta trasformando in un anarchismo linguistico dove, con la scusa di essere descrittivi e non prescrittivi, in assenza di regole finiamo schiacciati dalla lingua dominante e cannibale che ci fagocita.

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19 pensieri su “L’anarchismo linguistico italiano e la politica linguistica francese

  1. Bisognerebbe fare una bella ramanzina ai conduttori di RDS ed agli altri ignorantoni che sbeffeggiano la politica francese come se fosse un proibizionismo di fascista memoria. Sono anche curioso di sapere cosa ne penseranno invece della politica spagnola.

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      • Il provincialismo è sempre ridicolo. Questi inoltre dovrebbero sapere che persino gli inglesi tutelano la propria lingua senza proibire nulla.

        Sempre a proposito di pregiudizi senti questa : l’anno scorso, mentre stavo diffondendo la petizione per la proposta di legge per l’italiano presso amici, parenti e conoscenti, ad un certo punto mi capitò un mio ex compagno dell’Università (originario di Cuneo ed ex reduce dell’ERASMUS in Spagna) che, molto scettico nell’iniziativa, mi rispose così :
        “Non mi trovi d’accordo! Come tutte le cose le lingue si evolvono e cambiano con i popoli come è sempre stato! È reazionario pensare di fissare una lingua. Le uniche lingue sempre uguali a se stesse nel tempo sono le lingue morte!
        Ma non mi sembra ci sia tutto questo inglese nell’Italiano. Comunque in Spagna fanno anche cose peggiori di prendere parole inglesi e spagnolizzarle o viceversa. Per esempio il Bungee jumping lo chiamano puenting da puente (ponte in spagnolo) con la declinazione -ing dei verbi. ”

        Non so se era solo sarcasmo oppure faccia sul serio, però sembra proprio la solita risposta trita e ritrita tipica degli ” anglomani” (o persino dei sostenitori della “legge del più forte”), perciò con questo sfondiamo una porta aperta. Limitarsi a dire che “lingue evolvono” (senza però chiedersi COME si stanno evolvendo), a dire che “non si può fissare una lingua” (come se per loro difendere la lingua equivale ad essere “fissi” o “puristi”) o persino dire che le traduzioni spagnole/francesi siano peggiori (un giudizio assolutamente soggettivo).

        Comunque, tralasciando le divergenze di opinioni altrui, bisogna assolutamente rompere questa pericolosa equazione “politica linguistica = fascismo ” ed imparare a capire dagli esempi degli altri paesi democratici europei invece di sbeffeggiarli come se fossero retrogradi.

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        • Ma pseudoragionamenti come quello da te indicato sono tutto il contrario di quel che si dovrebbe fare: nessuno vuole “fissare” la lingua, viceversa è necessario muoverla e creare neologismi su base italiana proprio perché non si fissino solo le parole inglesi che non la stanno arricchendo ma la stanno facendo morire. L’italiano diventa una lingua morta proprio perché si cristallizza e non si sa evolvere perché si importa solo dall’inglese.

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  2. Sono d’accordo con lei.
    Mi permetto di aggiungere, a mio modesto parere, che i problemi da lei denunciati
    s’incastrano bene in uno *sbrago* generale della società italiana, a tutti i livelli.

    Le racconto un fatto che non è collegato direttamente con quello che lei ha descritto sopra
    ma siamo quasi lì.

    Ho avuto modo di avere una corrispondenza commerciale con imprese tedesche. Non è mia
    intenzione fare un confronto tra le due società.
    Nella corrispondenza commerciale, i tedeschi usano un formato ben preciso che stabilisce dove
    gli elementi di una lettera commerciale debbano essere posizionati all’interno di un foglio A4.
    Il formato permette anche una certa tolleranza, ad esempio per il posizionamento dei loghi e così via.
    Il destinatario infatti è collocato in una determinata posizione cosicché possa essere
    ben visibile nelle buste delle lettere con finestra.

    Sicuro di conoscere come si redige una lettera commerciale italiana e fiducioso che anche l’Italia
    avesse un formato simile mi sono messo per settimane alla ricerca di queste norme in internet.
    Ho scoperto mio malgrado che ogni italiano sembra avere le “proprie” e che queste differiscono di poco
    le une dall’altre: c’è chi pone la firma a sinistra, chi al centro e chi infine a destra; chi pone
    il destinatario a destra in alto e sotto data e luogo; chi invece il viceversa e così via. Va da sé
    che internet come anche privati cittadini non sono una fonte ufficiale.

    Non soddisfatto mi sono chiesto se in Italia esistesse l’equivalente del Deutsches Institut für Normung.
    Questo è un istituto tedesco che è responsabile della normazione in Germania e che ha appunto redatto
    il formato DIN5008. Fortunatamente l’Italia ne ha uno equivalente denominato Ente Nazionale Italiano
    di Unificazione (UNI). La sigla corta, UNI, l’avrà letta di sicuro su qualche prodotto commerciale.
    Putroppo però sul corrispondente sito web non si fa menzione di queste norme. Circa un mese fa gli
    ho scritto ponendo il mio quesito. Sono ancora in attesa di una risposta. Fiducioso.

    Seguo sempre i suoi articoli con interesse.

    Con cordialità.

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  3. Veramente anche il ricalco altoparlante sembra irrazionale. Sarebbe stato più logico chiamarlo “autoparlante”, vista la funzione svolta nelle radio e nelle tivù. Eppure il vocabolo è entrato nel nostro dizionario senza che vi fosse alcuna resistenza.

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    • Altoparlante è un composto voluto per indicare che amplifica, non significa che produce i suoni da solo o in modo automatico. In ogni caso la lingua è irrazionale, la parola è metafora e un tecnicismo che arriva in inglese, più che essere “necessario”, è una scelta. Un nuovo oggetto/concetto si potrebbe anche chiamare “pippo” invece che con un anglicismo, e poco cambierebbe. In fondo “scotch” era la marca di un nastro adesivo, “mouse” è semplicemente le metafora di un topo, e” smart working” è un’italianata che ci siamo inventati da soli in modo ridicolo.

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      • Condivido pienamente le affermazioni riguardanti gli anglicismi. Mouse si potrebbe sostituire con puntatore , mediante l’estensione del significato al dispositivo utilizzato per muovere la freccia.

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  4. A proposito di anarchismo linguistico italiano:questa mattina stavo ascoltando musica mentre viaggiavo in automobile ;un’interruzione pubblicitaria ,di cui non ricordo esattamente le parole ,consigliava di recarsi presso un negozio per gli acquisti di prodotti per l’igiene del corpo e recitava più o meno così:” sei stanco di spendere un po’ too much per il balsamo per i capelli ? Allora recati al negozio XY.” Mi sembra che con questo annuncio si sia andati oltre l’itanglese e oltre il punto di non ritorno.Al peggio non c’ è veramente mai fine!

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    • Too much è un intercalare molto diffuso in certe persone, e lo sento spesso, almeno nel milanese. Al contrario dell maggior prte degli anlicismi arriva un po’ dal basso, e il fatto che dal gergale si istituzionalizzi e passi in tv e nelle pubblicità è significativo del livello di anglicizzazione che stiamo raggiungendo.

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    • Leggo articoli di giornale dove le date sono introdotte da “on” anziché da “il” ed i secoli sono menzionati in inglese. Questo è il baratro più totale.

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      • Secondo me è che il copia e incolla dall’inglese non è solo mentale ma anche fisico. Si attinge ad articoli scritti nel mondo anglosassone, per cui nella fretta non si traducono certe cose (o non ci si fa neanche caso). Anche se poi si traduce, lo si fa in modo letterale, magari da grafici e tabelle. Stamattina sentivo in un notiziario alcuni dati sul reddito in Italia (se non sbaglio) che venivano snocciolati come ad es. 20,5mila 43,2mila (anziché dire ventimilaecinquecento, quarantatremilaeduecento). Infatti mi sembrava che dicessero 20, 5.000 o 43, 2.000 Forse i dati erano tratti da tabelle/grafici dove erano riportati in “thousands”? Della serie: manco chi legge ‘ste notizie capisce quello che legge.

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  5. Intervista a direttore d’albergo in Toscana(letta qualche tempo fa su una rivista gratuita distribuita su treni ad alta velocità;rivista già di per sé infarcita di termini inglesi);a domanda il direttore risponde :”la nostra mission è l’hospitality”.E dire che qui siamo nella culla della lingua italiana.Hospitality proprio mi mancava:lo dobbiamo inserire nel dizionario delle alternative agli anglicismi o lasciamo perdere?

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