Orribili neologismi e seducenti anglicismi: dal purismo all’anglopurismo

Il nuovo Governo ci sta regalando in questi giorni due nuovi meravigliosi anglicismi, la plastic tax e la sugar tax.
Da quando le tasse sono diventate tax?
Dopo le timide prime entrate storiche mutuate dall’inglese (minimum tax o carbon tax), il nuovo Millennio ha prodotto la city tax (tassa di soggiorno, 2006), la local tax (al posto di IMU e TASI, 2014), e poi la web tax, computer tax, Google tax, flat tax, Robin tax e decine di altre ancora. Un buon sistema per non fare pagare le tasse, questo. Basta sostituirle con tax e son belle che abolite, almeno nella lingua italiana.

I giornali riprendono queste espressioni e le sbattono in bella vista nei titoloni, affinché tutti le vedano e le ripetano senza alternative. Sbatti il monster in prima pagina. È così che, giorno dopo giorno, si diffonde l’itanglese e si distrugge l’italiano.

Inglese è bello. Inglese è il nuovo.
E le neologie in italiano? Sono brutte. Orrende e orribili.


“Mi si perdoni l’orrendo neologismo” italiano

I mezzi di informazione sono i principali spacciatori di anglicismi – o forse è più moderno dire pusher come si legge nei titoli dei giornali – ma allo stesso tempo condannano i neologismi creati con elementi italiani per motivi “estetici” (sono “brutti”), e li usano chiedendo licenza. Frasi come “Mi si perdoni l’orrendo neologismo” ricorrono frequentemente e in ogni variante:

● “Noi non vogliamo rischiare… l’alberobellizzazione, mi passi l’orrendo neologismo…” (Corriere della Sera, 9/12/2018);
● “Assolutamente libero lei e chiunque di poter esprimere opinioni, semplicemente credo che fare del benaltrismo (scusi l’orrendo neologismo)… (Il Fatto Quotidiano, 26/6/2019).

Certo, parole come queste più che essere neologismi sono espressioni usa e getta, occasionalismi coniati in un contesto per farsi capire; quando manca la parola si può sempre inventare – forse lo abbiamo dimenticato, ma va gridato forte e chiaro – e se l’invenzione è fatta seguendo le regole della nostra lingua ed è comprensibile a tutti non c’è nulla di male a inventare le parole, fa parte dell’individualismo espressivo. L’evoluzione di una lingua passa proprio attraverso la creazione di nuove parole, davanti ai cambiamenti del mondo. Molti neologismi che poi si affermano e registrano successo e circolazione hanno, o forse dovrebbero avere, proprio questo tipo di struttura italiana. Eppure c’è una grande resistenza a questi tipi di neologie.

Cercando su “Google notizie” l’espressione “brutto neologismo” si trovano circa 123 risultati, per esempio:

● “nutraceutico, brutto neologismo farmaceutico…” (SassariNotizie.com, 29/10/2019);
● “Per descrivere questa situazione si parla ormai con un brutto neologismo di urbanicidio” (Toscana24, 27/9/2019);
● “Qualche anno fa andava di moda un brutto neologismo: glocalizzazione” (Esquire.com, 16/5/2019);
● “20 mesi fa, in Italia il sovranismo era un brutto neologismo poco praticato” (Globalist.it, 23/2/2019);
● “diramazioni e obliquazioni (si potrà scrivere? è un brutto neologismo?)” (Il Foglio, 3/1/2019);
● “connessività: brutto neologismo per dire che oggi non basta… (La Repubblica, 29/2/2016);
● “alternatività, se così si può definire per usare un brutto neologismo (Onstage, 2/2/2018);
● “licenzismo (perdonate il brutto neologismo)” (Il Foglio, 9/7/2019);
● “con un brutto neologismo si potrebbe definire una pioniera” (Il Sussidiario.net, 11/1/2016);
● “Non passava giorno, in quegli anni, che non venisse ucciso o gambizzato (brutto neologismo dell’epoca) qualcuno” (Corriere della Sera, 24/5/2010);
● “per definire questo duplice processo, sociologi e demografi hanno coniato il brutto neologismo degiovanimento del Sud” (Quotidiano di Puglia, 15/6/2019);
● “ ingredientistica (brutto neologismo)…” (Newsfood.com, 8/9/ 2010);
● “Rileva quella che si potrebbe definire con un brutto neologismo, le tecnicalità del prodotto… (Il Secolo d’Italia, 8/11/2018).

Molte altre volte i neologismi non sono solo “brutti”, sono addirittura “orribili” (87 risultati circa):

● “attenzionate (orribile neologismo)” (Il Messaggero, 9/1/2019);
● “… giovani e – oggi si direbbe con orribile neologismo – caucasiche” (AGI – Agenzia Giornalistica Italia, 4/4/2018);
● “Sembra proprio che l’emergenza nazionale paventata da alcuni media, con tanto di creazione dell’orribile neologismo femminicidio, esista (Il Primato Nazionale, 3/3/2017);
● “halloweeniana (perdonateci l’orribile neologismo)” (Multiplayer.it, 3 dic 2009);
● “ci si passi l’orribile neologismo, performante… (La Repubblica, 7/12/2015);
● “un meccanismo che chiamerei, con un orribile neologismo, di interessanza” (Linkiesta.it, 2 giu 2014).

Oppure sono “orrendi” (circa 78 risultati):

● “…un orrendo neologismo – femminicidi” (Corriere della Sera, 5/4/2017);
● “…buonisti: l’orrendo neologismo abusato da anni…” (La Repubblica, 25/10/2013);
● “movimentista (orrendo neologismo)” (Corriere della Sera, 28/3/2015);
● “Anzi, causalizzarli, se mi passate l’orrendo neologismo (Il Sussidiario.net, 26/9/2019)…

E i neologismi belli quali sono? Esisteranno?
Pare di no.


C’è una bella parola in inglese per esprimere…

La ricerca di “ottimo neologismo” e “buon neologismo” tra le testate giornalistiche non è fruttuosa, mentre “bel neologismo” riporta solo 37 risultati, ma andando a leggere gli articoli si vede che spesso l’espressione ricorre nei commenti dei lettori, e non nel pezzo dei giornalisti. E poi salta all’occhio un altro fatto singolare: si elogia qualche neologismo d’autore (“Gianni Brera per lei ha coniato un bel neologismo ‘dolcenergica’”, Italnews, 4/10/2014; “dispatriare, per usare il bel neologismo di Luigi Meneghello”, La Repubblica, 22/3/2019), ma con poche eccezioni (Islamofobiabel neologismo, motivo già più che sufficiente a votare Trump; Il Fatto Quotidiano, 9/11/2016) si elogiano soprattutto gli anglicismi, che sono sì neologismi, ma non sono parole italiane:

● “C’è un bel neologismo inglese a cui si può far riferimento e che descrive bene il fenomeno, che dal punto di vista sociale occorre sempre più contrastare, che è ‘ageism’, vale a dire la discriminazione tra persone a causa dell’età” (Startupitalia.eu, 29/8/2018).
● “Scoppia a ridere, il fotografo ha detto qualcosa sui danni della cheesefication, il forzare ghigni davanti a una macchina fotografica, un bel neologismo (La Repubblica, 2 ago 2013).

Ma che “bel neologismo” cheesfication! Ne sentivamo la mancanza (quanto ci piacciono i suoni in “éscion”) e di sicuro la nostra lingua non sarebbe in grado di produrre nuove parole così evocative. Mettiamo subito cheesfication nell’elenco degli anglicismi “insostituibili”, “necessari”, “utili”… le nostre parole per indicare il sorriso forzato o sforzato, tirato, di plastica, imbalsamato… non sono altrettanto “belle”, e creare una ricombinazione nostrana produrrebbe di sicuro “orribili neologismi”, a quanto pare. A un giornalista non viene neppure in mente di provarci, c’è già l’inglese, mica si può alterarne la sacra inviolabilità di idioma superiore!
E ageism? Certo ci sarebbe ageismo, mi si consenta l’adattamento considerato ormai una consuetudine “medioevale”. Almeno in Italia, perché all’estero e nelle lingue sane è normale, a cominciare proprio dalla lingua inglese che anglicizza gli italianismi senza scrupoli.
E davanti ai neologismi italiani alternativi all’inglese come apericena?

● “Orrendo neologismo la cui morale è sempre la stessa: l’aperitivo che si ‘mangia’ la cena” (Bergamo Post, 15/11/2016);
● “In tempi in cui apericena era solo un brutto neologismo di là da venire”, Il Friuli, 23/8/2015).

Naturalmente, questo atteggiamento non si ritrova solo sui giornali, e cercando le stesse espressioni non solo sulla stampa, ma in tutta la Rete, le occorrenze di questo tipo si moltiplicano a dismisura e diventano migliaia. Questo sentimento moralistico e misoneista – ma solo per le neoconiazioni italiane, non certo per le parole inglesi – striscia anche tra i tanti insopportabili tronisti linguistici della Rete. Apericena… per carità! Vuoi mettere un bell’happy hour? E che dire di colanzo come sostituzione di brunch (breakfast “prima colazione” + lunchpranzo”) che sta prendendo sempre più piede anche nelle offerte dei locali? Che brutto! Riporto in proposito un paio di commenti reali di utenti della Rete:

● Una parola “forzata a mio avviso è anche poco melodicabrunch è più immediata … anche più intuitiva”.
● “Noooo, sono riusciti a italianizzare l’orrendo ‘brunch’. ‘Sta roba fa coppia con l’obbrobrioso ‘apericena’; chi s’inventa questi termini assurdi farebbe meglio a rimanere a dieta pane e acqua, anzi, anche senza pane, anzi, anche senz’acqua!”

Questa ostilità per i neologismi italiani affonda le sue radici negli atteggiamenti puristici più beceri. I puristi però non avrebbero apprezzato questi registri linguistici da fumetto e questa punteggiatura casuale da oralità che si esprime attraverso la tastiera. E soprattutto i puristi si scagliavano con la stessa veemenza anche contro i “barbarismi” e con i regionalismi non toscani. Per preservare la purezza della lingua delle tre corone fiorentine rischiavano di cristallizzare l’italiano nella “lingua dei morti”, nei significati storici, e in questo modo di soffocarlo e di impedirne l’evoluzione per esprimere il nuovo. Questo moderno atteggiamento che preferisce gli anglicismi “intoccabili” ai neologismi, che si potrebbe definire “anglopurismo”, è un’immondizia che sta uccidendo l’italiano in modo ben più pericoloso.
Quanto alle argomentazioni di carattere “estetico” così diffuse – parola bella, brutta, orribile… – basta citare Leopardi, che aveva ben compreso:

solo “l’assuefazione e l’uso ci rende naturale, bella ec. una parola che se è nuova, o da noi non mai intesa ci parrà bruttissima deforme, sconveniente in se stessa e riguardo alla lingua, mostruosa, durissima, asprissima e barbara.”

Dire che colanzo o apericena sono belli o brutti è solo questione di diffusione e di abitudine. Dire che odiatore è brutto o meno preciso ed evocativo di hater è una sciocchezza, è una presa di posizione soggettiva di chi disprezza la lingua italiana. E dopo che Crozza ha cominciato a usare l’alternativa italiana più frequentemente dell’inglese non suona più così strano, si sta diffondendo anche sui giornali e tra la gente, anche se in un primo tempo suonava fuori luogo usare la nostra lingua. Lo stesso varrebbe per influente al posto di influencer, per notizie false invece che fake news o per tassa sulla plastica e sullo zucchero invece di plastic e sugar tax.

Ma gli anglopuristi sono ostili alle neologie italiane, per costoro è bello solo ciò che suona inglese. Purtroppo questo giudizio estetico da coloni e collaborazionisti della dittatura dell’inglese è esteso. E mentre in Islanda esiste la figura del “neologista” che davanti al proliferare dell’inglese costruisce ufficialmente alternative islandesi, o mentre in Francia e in Spagna le accademie della lingua creano e promuovono neologismi autoctoni, in Italia la lingua è fatta solo dai mezzi di informazione, e le prese di posizione anglopuriste si rintracciano persino all’interno della Crusca. E così, dai giornalisti, che con le parole che pubblicano contribuiscono a formare la lingua, ai più beceri tuttologi che in Rete si autoproclamano castigamatti delle parole belle e brutte, la metà dei neologismi del nuovo Millennio è ormai in inglese. Come se tra anglicismi e neologismi non ci fosse differenza. E il futuro dell’italiano sarà l’itanglese, se non cambiamo atteggiamento.

12 pensieri su “Orribili neologismi e seducenti anglicismi: dal purismo all’anglopurismo

  1. Incredibile, tutto ciò che viene dall’italiano è “orribile” rispetto all’inglese…
    Però sentire in questi giorni i giornalisti che si ammazzano e sputazzano a pronunciare lo scioglilingua plastic tax è senza prezzo, anzi… priceless 😀

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  2. Siamo d’accordo che in Italia la lingua (purtroppo) è fatta dai mezzi di informazione, dai siti internet, dai giornalisti e dal modo in cui indiscriminatamente ed eccessivamente introducono diversi nuovi anglismi ogni giorno. Ma la domanda che mi tormenta è: com’è possibile che, con tutti i giornalisti che esistono, siano tutti d’accordo nell’esprimersi in questa maniera; che non ci sia mai nessuno che si distingue continuando a parlare italiano e utilizzando termini stranieri solo quando strettissimamente necessario?

    In tutti gli sport la parola “incontro” è stata definitivamente abolita a favore di Match; partitissima non esiste più ma solo “big match”; chance ha quasi completamente sostituito possibilità, opportunità, occasione, probabilità; nel tennis “gioco” non si dice più ma solo “game”; e di esempi ce ne sarebbero altre migliaia.

    Ma come può essere che siano tutti d’accordo, che non ce ne sia nemmeno uno che continui a parlare come parlavamo negli anni 80?

    Allora mi rispondo: ci sarà una linea editoriale di tutti i mezzi di informazione italiani che impone di seguire questa anglo-americanizzazione sempre più esasperata (perlomeno a livello linguistico)?

    È possibile o secondo lei ci sono altre motivazioni?

    Io non capisco perché adesso si debba dire “rock band” quando fino a 20 anni fa era semplicemente un gruppo rock o un complesso…
    Oppure un “live” che era un concerto
    o la trasmissione della Formula 1 “live” che era semplicemente “in diretta”
    Belli i tempi in cui i top player erano “campioni”.

    Concludo ribadendo che la cosa di cui non mi capacito è proprio com’è possibile che tutti siano sulla stessa linea.

    Di là dal fatto che in Italia c’è forte esterofilia e che c’è un terreno fertile, mi viene da pensare che ci sia una linea editoriale dall’alto che vuole che si vada in questa direzione. Possibile?

    Grazie

    Giacomo

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    • Bella questione! Non tutti i giornalisti si esprimono necessariamente con gli anglicismi, ma la gran parte sì. Credo che più che una “linea editoriale imposta dall’alto” ci sia uno stile giornalistico imperante a cui tutti si adeguano. Parlando con i giornalisti, ho notato che storcono il naso quando faccio presente l’uso scriteriato dell’inglese; considerano gli anglicismi più evocativi, più funzionali al creare l’interesse, soprattutto nei titoli. Spesso, anche se sono meno comprensibili, puntano a richiamare l’attenzione proprio così, e poi solo nel pezzo sono spiegati o affiancati. E’ un problema di gusto, di stile, di modelli a cui adeguarsi, non è un’imposzione. E’ lo stesso criterio che si ritrova nelmondo del lavoro, dove si dice vision, mission e competitor per apparire più moderni o tecnici, quando le stesse parole da altre prospettive sono invece semplicemente ridicole o stupide. Però in alcuni ambiti lavorativi se non ti esprimi così sei percepito come “diverso”, se non usi e padroneggi QUEL linguaggio non sei un addetto ai lavori… Insomma nessun complottismo né poteri forti che “impongono” nulla. Il punto è che questo linguaggio anglicizzato è diventato quello per elevarsi, e il parlare l’italiano non è invece considerato un fatto distintivo positivo.

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      • Sai che ti dico ? Se ci fosse più onestà e più etica nella classe dirigente italiana (in tutti i campi), a quest’ora gli eventuali neologismi italiani non sarebbero più visti con snobismo rispetto all’itanglese considerato “sensazionalistico”.

        Va beh che fortunatamente molte di queste parole inizialmente considerate “brutte” sono riuscite lo stesso ad avere successo nel nostro linguaggio (anche i controversi “petaloso” e “sindaca”).

        Inoltre Zoppetti, continua così, non arrenderti mai nel tuo obiettivo.

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  3. Effettivamente abbastanza assurdo dichiarare brutti i neologismi italiani e quelli inglesi no. Quelli inglesi tutti belli, mah.
    Comunque, per quanto riguarda alcuni di quelli definiti orribili: “attenzionate” mi pare veramente orrendo forse perché mi ricorda un gergo aziendale (forse viene effettivamente usato lì), stile briffare o cose del genere, anche se, al contrario di questi ultimi, in effetti può tranquillamente derivare dall’italiano.
    “Caucasiche” non ho capito che neologismo sia.
    Per quanto riguarda il “femminicidio”, che viene definito sia orrendo che orribile, mi chiedo se i due aggettivi non indichino piuttosto che il concetto di femminicidio è orrendo. Cioè, si è reso necessario coniare un neologismo per esprimere un concetto orrendo. Ma la mia è solo una ipotesi.
    Non capisco cosa ci sia così orrendo nella parola “apericena” sinceramente. E anche qua ho il sospetto che chi la critica abbia in odio il concetto in sé che va poi a ricadere sulla parola stessa.
    Comunque dire che “brunch” è più intuitivo di “colanzo” è abbastanza assurdo. Brunch o si sa o non si sa, cosa c’è di intuitivo rimane un mistero.

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    • La “bruttezza” di attenzionare, comunque registrato ormai dai dizionari, credo che derivi dall’uso burocratico e dal linguaggio dei carabinieri, poi in sé non è né bello né brutto come tutte le parole, ha una formazione compatibile con le norme dell’italiano, e personalmente non lo userei, è una questione di stile, ma sinceramente non mi scandalizza più di tanto. Comunque l’operazione di stilare le parole belle e brutte è piuttosto insensata e soggettiva, nel suo elevarsi da puristi con la matita blu, e hai ragione: spesso si confonde la parola con il contenuto che veicola, vedi femminicidio o apericena.

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  4. Sono a favore dei neologismi italiani che, è vero, usati per un po’ poi suonano “normali”. Una riflessione su “colanzo”. Cercandolo su Instagram si rintracciano 180 foto accompagnate dall’etichetta #colanzo. Questo discreto successo mi sorprende, perché colanzo non segue i meccanismi di fusione tra parole tipici dell’italiano: la prima parola accorciata si attacca alla seconda parola intera. E così che nasce “apericena”, ma anche “mandarancio”. Correggimi se sbaglio.

    Per questo sarei più propenso all’utilizzo di “colapranzo”, con 769 ricorrenze in Instagram, che mi sembra anche più chiaro se utilizzato fuori contesto. Come sempre però a decidere sono i parlanti, per cui ben vengano “colanzo” o “colapranzo” a patto che servano a scalzare il “brunch”. Buon appetito 😉

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