L’anglicizzazione della nostra classe dirigente ha a che fare con l’ignoranza

di Antonio Zoppetti

La questione degli anglicismi e di una legge sull’italiano ha avuto un grande spazio sui giornali e nei dibattiti televisivi anche la scorsa settimana. Il livello delle discussioni a cui abbiamo assistito è però davvero avvilente, perché a prevalere sono i luoghi comuni, la disinformazione e soprattutto l’incapacità di uscire dalle prese di posizione ideologizzate che sono rimaste ferme a un secolo fa e interpretano tutto come una riedizione delle politiche del fascismo e della guerra ai barbarismi.

La proposta di legge di Fabio Rampelli è stata attaccata e spesso mistificata attraverso pregiudizi del passato, invece che essere analizzata o criticata con gli occhi del presente. Ma la nostra classe dirigente sembra ragionare ancora con gli schemi del purismo, incapace di cogliere la realtà e di andare avanti, visto che rispetto agli Venti del secolo scorso il mondo è cambiato e la globalizzazione, l’avvento di Internet, il crollo del muro di Berlino, la fine della Guerra fredda… hanno posto la questione della lingua su un terreno completamente differente rispetto al Novecento.

Gli interventi di ospiti e giornalisti importanti in trasmissioni televisive di primo piano mostrano chiaramente l’impreparazione e l’ignoranza dell’intellighenzia nostrana sul tema della lingua. Questa bassissima competenza è l’altra faccia della medaglia dell’anglicizzazione, e si può combattere solo con una battaglia culturale di svecchiamento dei pregiudizi.

Pregiudizio numero 1: la negazione e la banalizzazione

Alla nostra classe dirigente non è chiaro che il problema dell’interferenza dell’inglese non è una questione di principio né di battaglie per l’autarchia e il sovranismo linguistico, è un problema di ecologia linguistica. Il problema non sono i “forestierismi” da bandire per motivi di principio, il problema sono gli anglicismi – e solo quelli – perché il loro numero sproporzionato è tale che stanno cambiando i connotati della nostra lingua trasformandola in itanglese. Il nostro ecosistema linguistico è schiacciato da questo eccesso, e la necessità di leggi per tutelare il nostro patrimonio linguistico è una risposta a una minaccia reale: lo “tsunami anglicus” ci travolge perché l’inglese planetario entra in conflitto con le lingue locali. Ma i nostri intellettuali non lo sanno, e dunque negano tutto ciò. Davanti alla questione dell’abuso dell’inglese sorridono, fanno spallucce e sfoderano i soliti stereotipi per cui tutto ciò sarebbe un falso problema. Ad Accordi e disaccordi di venerdì scorso (su La7) l’opinionista Andrea Scanzi ha raggiunto l’apoteosi di queste pochezze, e con il suo solito tono saccente e perentorio ho sciolinato i peggiori stereotipi banalizzando la questione e riducendo tutto al fatto che qualcuno vorrebbe impedirci di dire “brioche” o “rock”, mostrando di non avere la più pallida idea della questione. Tra l’altro “brioche” è uno pseudo- francesismo nel significato che gli attribuiamo noi di cornetto, ma il punto non è il forestierismo in sé, bensì il peso dell’interferenza dell’inglese nella sua totalità e complessità, che sta portando al collasso del dominio in molti settori: l’italiano non è più in grado di esprimere l’informatica, il lavoro, la scienza, la tecnologia…. senza la stampella dell’inglese. A Piazza Pulita di Corrado Formigli le cose non erano tanto diverse, e mentre De Benedetti liquidava la faccenda degli anglicismi come una questione inesistente e di nessuna rilevanza, invitando a concentrarsi sui problemi seri del nostro Paese, il conduttore mostrava una grafica in cui faceva passare una serie di forestierismi, ormai comuni e naturali, inglesi, francesi, spagnoli o tedeschi, senza accorgersi che il numero degli anglicismi indicati superava la somma di tutti gli altri forestierismi recuperati con un certo sforzo, nel caso di germanismi e ispanismi.

Pregiudizio numero 2: i peggiori sovranisti sono proprio i giornalisti

In tutto il mondo si riflette e si interviene sull’invadenza dell’inglese, nei Paesi ispanici esistono numerose istituzioni pubbliche e private che traducono anglo-tecnicismi e coniano neologismi che invece noi importiamo e accumuliamo in inglese senza nemmeno porci il problema. E lo stesso avviene in Francia che ha varato anche delle leggi severe per la tutela e l’integrità del francese; in Islanda esiste la figura ufficiale del neologista che crea alternative autoctone alla terminologia inglese; in Svizzera sono state emanate linee guida per evitare le parole inglesi nella pubblica amministrazione in nome della trasparenza, e la lingua italiana è ben più tutelata e promossa che da da noi. Ma il giornalista medio sembra ignorare tutto ciò, e davanti al problema dell’anglicizzazione non si aggancia al dibattito internazionale, ma subito si blocca come un mulo e non sa far altro che collegare la questione alla guerra ai barbarismi del ventennio. Ma ignorare il dibattito internazionale di oggi e guardare solo al nostro passato interno significa guardarsi l’ombelico e indossare i paraocchi svincolandosi dalle più attuali questioni planetarie, è un isolarsi dal mondo che si può leggere come il peggiore sovranismo culturale che si possa immaginare. E per far finta di uscire da questo provinciale modo di porre la questione si ricorre a un altro luogo comune da sfatare: questi signori sono convinti che parole come mouse o computer siano moderni “internazionalismi”, non sanno che non è così e più in generale confondono “internazionalismo” con ciò che avviene nell’anglosfera, che è il loro unico parametro di riferimento, perché sono colonizzati nella mente e non hanno altri modelli se non quelli dell’angloamericano.

Pregiudizio numero 3: la mistificazione e la ridicolizzazione dell’avversario

In questo quadro, la notizia della legge di Rampelli è stata riassunta e presentata enfatizzando solo la questione delle multe da 5.000 a 100.000 euro che ben si presta alle analogie con le leggi fasciste iniziate con una tassa sulle insegne commerciali che contenevano parole straniere. L’iniziativa non era affatto una novità del fascismo, era già stata proposta ben prima, per rimpinguare le casse dello Stato, anche se il fascismo l’ha rilanciata con un intento patriottico più che finanziario.

L’articolo delle sanzioni, in effetti, avrebbe potuto essere scritto in modo diverso e meno vago, perché così come impostato sembra quasi ammiccare provocatoriamente al passato, e istigare i facili accostamenti. Quanto alle altre “ingenuità” o punti deboli e critici presenti nel testo di legge, nessuno li ha nemmeno visti e forse recepiti.

Rampelli è dunque intervenuto un po’ ovunque per spiegare che le multe riguarderebbero le amministrazioni e non i privati cittadini, e che il suo intento era quello di riprendere le leggi francesi dove nei contratti e nella documentazione di lavoro è obbligatorio usare il francese e le multinazionali – come la Danone o la GEMS – che hanno violato le regole sono state pesantemente multate. Ancora una volta, un “sovranista” come Rampelli si è rivelato più “internazionale” dei suoi avversari che non sono consapevoli di ciò che avviene all’estero perché per loro l’estero è solo l’anglosfera, e non sanno che la legge Toubon è ben più radicale di quella “rampelliana”.

Una campagna di sensibilizzazione per l’italiano

E allora, per fare chiarezza e sgomberare i pregiudizi è necessario fare informazione e creare una nuova cultura. Per questo sto cercando di far circolare il “Rapporto sull’anglicizzazione” con i dati e i numeri tratti dallo spoglio dei dizionari, che purtroppo i giornalisti e gli intellettuali non conoscono. Per questo il rapporto è stato inviato in Parlamento – insieme alla nostra proposta di legge per l’italiano e alle 2.200 firme di chi la sostiene – sia ai rappresentanti del Governo sia alle forze di opposizione. La stessa istanza che abbiamo rivolto un paio di anni fa al presidente della Repubblica Sergio Mattarella con una petizione firmata da oltre 4.000 cittadini.

Purtroppo nessuna risposta ci è pervenuta.

Tuttavia, ieri sono riuscito a perorare molto brevemente davanti a Rampelli quello che a mio avviso è il punto chiave: la necessità di agire con strumenti culturali per ricostruire un tessuto sociale che spezzi il nostro complesso di inferiorità verso l’inglese e per fare in modo che la nostra lingua, così amata nel mondo, torni a essere qualcosa di cui andare fieri, invece che vergognarcene e buttarla via davanti agli anglicismi.

La risposta di Rampelli

Ieri sono intervenuto su Radio Radio nella trasmissione Punto e accapo condotta da Francesco Borgonovo e ho cercato di spiegare come stanno le cose e di divulgare il vero problema dell’anglicizzazione che è un fenomeno da pesare e misurare, non da liquidare come una questione di purismo o di principio. Nella seconda parte della trasmissione Borgonovo ha intervistato anche Rampelli che ha ribadito che le multe previste dalla sua proposta di legge non riguardano i cittadini che proferiscono forestierismi, ma le istituzioni che dovrebbero rivolgesi ai cittadini in italiano. Ha anche osservato che il tema della lingua, teoricamente, dovrebbe appartenere alla sinistra, non solo alla destra, anche se a sinistra sembra che nessuno lo capisca. E ha fatto presente che, davanti alla sua proposta, mentre la gogna mediatica italiana ha rispolverato il fascismo, nessuno in Francia ha mai tacciato di fascismo Macron, Mitterand né le commissioni istituzionali per l’arricchimento del francese davanti agli anglicismi.

Sono riuscito a intervenire per precisare ciò che, a mio avviso, manca nella proposta di legge di Rampelli, e cioè una campagna di sensibilizzazione a favore dell’italiano. Perché le lingue si orientano con altri mezzi rispetto alle multe (che ben vengano se sanzionano le multinazionali d’oltreoceano o le amministrazioni che introducono anglicismi demenziali al posto dell’italiano). Per stigmatizzare gli anglicismi bisogna perciò fare cultura, emanare linee guide e raccomandazioni, perché la battaglia contro l’anglicizzazione va condotta sul terreno della “connotazione”, per fare in modo che le parole inglesi non siano vissute come preferibili. L’abuso dell’inglese si può arginare solo con le stesse modalità con cui si diffondono le parole considerate “politicamente corrette” e non discriminatorie, e nello stesso modo con cui si sta operando nel caso di parole come sindaca o ministra e per le altre femminilizzazioni delle cariche.

Borgonovo è un giornalista ben informato, da sempre sensibile al tema della lingua, ha dunque colto benissimo il nodo della questione, e l’ha girata a Rampelli chiedendogli in modo molto diretto: “Ha sentito? Che ne pensa? Farete una campagna?”
La risposta è stata: “Sì, è perfettamente in linea con i nostri scopi politici.”

Vedremo come andranno le cose e che accadrà, ammesso che la nuova proposta di legge sia finalmente perlomeno discussa, al contrario delle precedenti.

Intanto continuo, come posso, nella mia opera di divulgazione, informazione e convincimento.

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PS
Sabato sarò a Crema (Biblioteca comunale Gallini, ore 10) e divulgherò i numeri e i dati dell’anglicizzazione dell’italiano in un incontro promosso dagli esperantisti per ricordare Daniele Marignoni, autore della prima grammatica di esperanto italiana.

L’esperanto non è una lingua “etnica”, non entra in conflitto con le lingue locali e rappresenterebbe la soluzione più etica, pacifica, razionale ed economica per la comunicazione internazionale, ma forse proprio per questo è osteggiato da chi ha tutto l’interesse a privilegiare l’inglese e a difendere il potere del globalese, di cui gli anglicismi sono solo un “effetto collaterale”.

Interverrà anche il professor Michele Gazzola, che parlerà dell’approccio al multilinguismo nella politica di comunicazione dell’Unione europea, visto che l’inglese non è la lingua ufficiale dell’Ue, e dovremmo ricordarcene più spesso.

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Aggiornamento del 17/4/023: per chi è interessato è disponibile la registrazione dell’evento:

42 pensieri su “L’anglicizzazione della nostra classe dirigente ha a che fare con l’ignoranza

  1. Bravo, staremo a vedere se davvero porteranno avanti una campagna di sensibilizzazione a favore della lingua italiana.
    Ho letto diverse critiche sulle multe, un’iniziativa spesso ridicolizzata. Ma sono d’accordo: le istituzioni hanno l’obbligo di rivolgersi in italiano ai cittadini. Nessuno è tenuto, nel territorio italiano, a conoscere la lingua inglese.

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    • Il problema è che la legge di Rampelli — che comunque è la sola proposta e dunque meglio di niente — non viene criticata nei suoi punti deboli, discutibili, o sui cui è possibile avere altre proposte, ma respinta a priori in modo insensato e minato da pregiudizi. L’alternativa è non fare niente, evidentemente, per chi non ha la minima idea di cosa sia una politica linguistica e non ha nulla da contrapporre di meglio.

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      • Esatto. Quello che ho visto dalla sinistra e’ stato solo un attacco a prioiri, con molte falsita’ dette. Si vede chiaramente che manco hanno letto la legge, perche’ a leggerla e’ ovvio che le sanzioni non sono sui privati cittadini. Il problema e’ che questa notizia distorta mi sembra o temo sia quella che stia filtrando. Il Telegraph (mi sembra, non ricordo esattamente la testata) in Inghilterra ha pubblicato un articolo la settimana scorsa dicendo che la legge vuole proibire di usare l’inglese ai privati che lo fanno a scopo di ‘mercatistica’; e lo ha usato come uno degli esempi a sostegno della tesi che l’Italia sia ora, con questo governo, il Paese piu’ arretrato e retrogato d’Europa.

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        • A sinistra c’è un sacco di gente che la pensa come me, che non vengo affatto dalla destra e ho posizioni culturali diametralmente opposte. Il problema riguarda la classe dirigente di sinistra, e non solo di quell’area. Anche il giornalismo offre uno spettacolo vergognoso nel riportare le informazioni stereotipate e rivoltarle come fa comodo. Mentre gli intellettuali sono ormai allineati e colonizzati, perlopiù, e hanno sempre meno il ruolo critico di mettere in discussione le cose — non dico di essere portatori di una visione rivoluzionaria — e sono ormai i portavoce del potere dominante di cui sono la cassa di risonanza.

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  2. Grazie Antonio per il tuo operato. Speiramo che con questo polverone ti invitino di piu’ a trasmissioni cosi’, in modo che la sinistra veda il problema discusso seriamente e da persone che non vede necessariamente in maniera pregiudiziale e con ositilita’ preconcetta.

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    • Credo che sia prevista la registrazione e archiviazione dell’evento di Crema, anche perché Michele Gazzola si connette da remoto.
      Quanto a Borgonovo è un esempio di giornalista di destra che sa argomentare e documentare le sue posizioni in modo serio e onesto, e anche se ho una visione politica diversa dalla sua, anche io mi trovo spesso d’accordo con le sue posizioni, e rispetto molto il suo modo di essere non allineato e di pensare con la sua testa anche quando esprime posizioni che non coincidono con le mie.

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  3. Grazie mille per tutto quello fa. Ho appena sentito una politica, di cui non faccio nome per carità di patria, dire che “smart working” sarebbe un anglismo di difficile traduzione, quando invece esso è uno pseudoanglicismo inventato in italia e con un suo corrispettivo “lavoro agile”. Questa è la preparazione dei politici in tale materia. Oltretutto Rampelli ha detto che non vi sarà un comitato che arricchirà il lessico, come avviene in Francia,Spagna. Penso che così la legge sia incompleta, poiché uno dei vari problemi è proprio la mancanza di un organo che proponga e diffonda alternative o neologismi italiani.

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    • Lo smart working è un “itanglismo” (come caregiver, del resto, e molti altri), creato dalle menti colonizzate che poi ci dicono che è “intraducibile” senza rendersi conto che l’importazione dall’inglese è campata per aria… siamo alla frutta… e mi piacerebbe capire che senso ha parlare di “prestiti linguistici” in casi come questi. Siamo di fronte a “trapianti” arbitrari di suoni e radici inglesi ricombinati con pressapochismo e stravolgendo i significati dell’inglese. Altro che prestiti di “lusso” e di “necessità”… altra panzana linguistica insostenibile e ridicola che non è in grado di spiegare la complessità e le sfaccettature dell’interferenza dell’inglese che esce ormai dalla sfera lessicale per coinvolgere la morfologia e persino la sintassi.

      La proposta di Rampelli ha molte ingenuità e punti poco praticabili, purtroppo invece di dicuterne seriamente e di migliorarla le reazioni in campo tendono semplicemente a ditruggerla e a eliminarla senza sostituirla con proposte alternative.

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  4. Caro Zoppetti,
    ho 77 anni, sono un insegnante in pensione e da sempre sono un elettore di sinistra. Tuttavia, se la destra decidesse di inserire nella Costituzione un riferimento al sistema copernicano, non per questo mi dichiarerei tolemaico. Fuor di metafora : le proposte di legge dell’onorevole Rampelli hanno avuto il merito di portare il problema della tutela della lingua italiana sulle prime pagine dei giornali e all’attenzione dell’opinione pubblica. La sinistra è passata dalla rimozione /negazione del problema alla mistificazione. È già un passo avanti.

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    • Caro Carlo, sono dalla sua parte e trovo l’esempio dei tolemaici particolarmente azzeccato. Tra l’altro nel pubblicare per la prima volta i dati sull’aumento degli anglicismi nei dizionari, nel 2017, mi sono sentito un po’ “galileiano” davanti agli attacchi di linguisti negazionisti che sembravano proprio come i tolemaici: invece di guardare con il cannocchiale quello che succede si arrampicavano sui vetri dicendo che il cannocchiale è uno strumento ingannevole (dove al posto di “cannocchiale” ci sono lo spoglio dei dizionari, l’aumento delle frequenze d’uso, l’aumento degli anglicismi sui giornali e in tutti i settori…).
      I tolemaici di sinistra continuano a rimuovere, ho passato un anno a cercare di convincere alcuni esponenti di spicco che il tema della lingua dovrebbe appartenere alla sinistra, visto che gli anglicismi creano barriere sociali, esclusioni e che l’inglese globale crea una diglossia neomedievale che esclude le fasce deboli per imporre la lingua delle élite… Non potete lasciare il tema della lingua solo alla destra, dicevo, ma è stato tutto inutile.
      Passando però al sentore della gente c’è un sondaggio dell’altro giorno (anche se indicativo più che scientifico) secondo il quale il 52% degli italiani è d’accordo con Rampelli, e non credo che si tratti solo di elettori di destra (qui un articolo che ne parla: https://italofonia.info/il-sondaggio-di-money-it-ai-i-suoi-lettori-il-52-e-daccordo-con-la-proposta-rampelli/). Questa sinistra dovrebbe recuperare le sue origini e le sue radici con le masse, invece di sguazzare nel fighettismo anglicizzato “radical chic”. E visto che non lo fa sarà spazzata via, come dimostrano i risultati elettorali

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    • Dobbiamo ringraziare l’uscita del presidente Meloni — immediatamanete diffusa dalla cassa di risonanza mediatica che non aspetta altro che queste idiozie per immergersi nell’inglese — se la popolarità e la frequenza di underdog è esplosa. E chi predica bene e razzola male dovrebbe capire che “le parole sono importanti” ma anche che chi gode di una visibilità di spicco è responsabile nel fare la lingua. Sono un po’ sconvolto dalle discussioni sul ministero del made in Italy che qualcuno ha trovato contraddittorio, ma chi ha proposto di usare l’italiano non era nemmeno più in grado di farlo… il corrispondente non è “del fare italiano” e altre simili corbellerie, ma semplicemente “prodotto italiano” o in Italia, perfettamente sostituibile sia nel caso dei “prodotti italiani” sia nelle diciture dei marchi “prodotto in Italia”. Chiamare Italy l’Italia, con il pretesto di volere fare gli internazionali è il simbolo della nostra scomparsa culturale e linguistica per essere fagocitati nella lingua unica della globalizzazzione.

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  5. Sarebbe anche bello se i traducenti italiani di “guardrail” come “guardavia”, “sicurvia”, “guardastrada” e lo svizzerismo “guidovia” venissero divulgati maggiormente nell’uso comune!!! Cosa ne pensate?

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  6. Nella mia ignoranza non so chi sia l’autore dell’aforisma secondo cui l’italiano non lo farebbero più gli scrittori, bensì esso sarebbe divenuto una “lingua democratica a suffragio universale”.
    Non mi sembra proprio vero: l’italiano lo fanno quella minima frazione d’italiani che parla in TV o scrive sui giornali più diffusi, e la stragrande maggioranza dei cittadini s’adegua a quanto deciso altrove: “suffragio ristrettissimo”, continuando la metafora …
    Tuttavia se pensare che effettivamente 60 milioni di persone potessero egualmente influenzare il divernire della lingua è utopistico, sarebbe almeno sperabile che quella piccola minoranza che decide fosse consapevole delle sue scelte e delle sue conseguenze!

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    • Caro Pontoglio, che l’italiano non lo facciano più gli scrittori è assodato e negli anni ’60 lo aveva capito e spiegato Pasolini (mentre tutti i più miopi linguisti e intellettuali gli diedero addosso). E aveva capito che il nuovo italiano era tecnologico e che i centri di irradiazione della lingua erano quelli del nord che veicolavano un italiano tecnologico più che espressivo, oltre alla tv. La bufala dell’italiano democratico non sta né in cielo né in terra, l’italiano continua a essere fatto da una classe dirigente fatta di giornalisti, imprenditori, tecnici, personaggi televisivi e internettiani, doppiaggi cinematografico-televisivi, pubblicità… Ma già Gramsci aveva compreso perfettamente che la lingua è lo specchio di una classe dirigente che la gente prende come modello e imita. Infatti ogni volta che affiora la questione della lingua, dietro c’è un riassestamento della classe dirigente, spiegava.
      La novità è che i centri di irradiazione della lingua, con la globalizzazione, si sono spostati fuori dall’Italia, provengono direttamente dall’angloamericano, e la nuova classe dirigente diffonde anglicismi e li scimmiotta in modo compulsivo. Quindi i neologismi tecnologici, culturali e di gran moda non sono più fatti da nativi italiani, questi ultimi si limitano a diffonderli. I nuovi linguisti che vogliono essere descrittivi, e che ci spiegano che l’uso fa la norma, fanno credere che questo processo sia democratico ma non è affatto così e la domanda è: e l’uso chi lo fa? Non certo la gente. Al massimo la “gente” contribuisce a diffondere certi usi inizialmente bollati come errati che alla fine non si riescono ad arginare e vengono accettati, ma se la lingua fosse democratica gli stessi linguisti dovrebbero smetterla di scrivere grammatiche o di deprecare qual’è con l’apostrofo o l’uso di “piuttosto che” alla milanese al posto di “oppure”, o verbi inesitenti come “stortare” al posto di storcere e “redarre” al posto di redigere.
      Dunque sono d’accordo con lei, come (quasi) sempre.

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  7. E anche Maurizio Crozza si è unito al coro dei mistificatori della legge Rampelli, e come poteva essere altrimenti? Venerdì sera ha sparato ben due castronerie. A parte il confronto sciocco fra i tre milioni di turisti pasquali e i solo 40 migranti (secondo lui) che arrivano a Lampedusa, ovviamente ha assimilato la legge Rampelli al Fascismo. La sua teoria era che bisogna tutelare l’italiano perché quelli di Fratelli d’Italia sono ignoranti. Eh già, è il complesso dell’ignorante, così radicato che Crozza non si domanda perché un fornaio dobbiamo chiamarlo bécheri, però fa l’offeso spacciando l’idea che si verrebbe multati per dire trolley.
    Non credevo di arrivare a questo punto, ma per tutta l’idiozia che c’è a sinistra, davvero sono tentato di votare l’altra parte alle prossime elezioni!

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    • Crozza però è solo un comico, e lavora anche sulla superficialità degli stereotipi. Più grave invece è quando gli stereotipi crozziani sono sostenuti dalla nostra intellighenzia. Ho visto anche io la puntata e a un certo punto Crozza ha mostrato un titolo di giornale: la rivista “Open” titolava: “La ministra Santanché contro il ‘far west’ dei bed & breakfast”, e ironizzava sugli anglicismi “da multa”. E intanto pensavo… ma guarda un po’, questo fa le battute sull’inglese e non si accorge che nel titolo citato l’italiano non c’è più: su 12 parole 6 sono in inglese (Open, far, west, bed, &, breakfast) e 6 italiane (la, ministra, Santanché, contro, il, dei) che si riducono a un nome proprio (Santanché), due articoli (il, la), due proposizioni (dei, contro) e un sostantivo. Forse la satira dovrebbe evidenziare questo e non l’assurdità di chi denuncia il crollo dell’italiano.

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  8. Mi rallegro dell’apertura di Rampelli riguardo all’avvio di campagne di sensibilizzazione sull’utilizzo della lingua italiana. Se tali campagne dovessero però ridursi a qualche triste passaggio televisivo del tipo “Pubblicità Progresso” ritengo che non otterremmo alcun risultato. Continuo a pensare che l’itanglese potrebbe diventare meno “cool” (e quindi l’italiano più fico) solo se si riuscissero a reclutare per la causa personaggi percepiti dal grande pubblico come trascinatori (cantanti, attori, comici…) Purtroppo però, Crozza docet, sembra accadere il contrario.

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  9. Buongiorno, sono molto interessato a questo argomento e seguo con attenzione il dibattito in seguito alla proposta di legge Rampelli. Mi sono fatto l’impressione che pochi linguisti condividono la preoccupazione che lei esprime così bene in queste pagine. per esempio il noto linguista Francesco Sabatini in una recente intervista https://www.radiocusanocampus.it/it/francesco-sabatini-linguista-presidente-onorario-accademia-della-crusca
    ha mostrato una visione ottimista dichiarando che la battaglia contro le singole parole è inutile e che l’italiano sta molto meglio di 100 anni fa. Che cosa ne pensa?

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    • Ho ascoltato anch’io con un po’ di perplessità l’intervento di Sabatini che dice che ai linguisti “fanno ridere le leggi di questo tipo”, ma si è dimenticato di specificare IN ITALIA, visto che in altri Paesi le leggi si sono varate e che le accademie non hanno alcun problema a essere prescrittive, interventiste e coniare sostitutivi autoctoni.
      Inoltre fa di ogni forestierismo un fascio quando dice – senza distinguerne il peso – che ci sono tanti francesismi, ispanismi e germanismi, e dimentica che la somma di tutti i forestierismi crudi provenienti da ogni parte del mondo (francese incluso) non arrivano nemmeno alla metà degli anglicismi, che tra l’altro abbiamo importato praticamente solo negli ultimi settant’anni, con una velocità inaudita.
      E anche il fatto che lo tsunami anglicus è un fenomeno mondiale è verissimo, ma bisogna aggiungere che in Italia siamo messi molto peggio che all’estero, anche grazie ai linguisti che non vedono (o non vogliono vedere) queste differenze.

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  10. Grazie per la pronta risposta. Sono desideroso di approfondire le mie conoscenze in materia e le sarei molto grato se potesse darmi qualche indicazioni di libri divulgativi di linguisti italiani più attenti al problema anglismi che condividono le sue preoccupazioni che ora ho fatto anche mie.

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    • Visto che me lo chiede, le anticipo che la prossima settimana uscirà un mio nuovo libro: “Lo tsunami degli anglicimi. Gli effetti collaterali della globalizzazione linguistica” (ed. goWare) che ha anche un’ampia bibliografia. Altre letture gratuite le trova nella barra laterale a destra di questo sito alla voce “Articoli utili”.

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  11. Lo leggerò con grande piacere. Intanto gentilmente mi può dare anche uno o due titoli di libri divulgativi di linguisti “amici” che posso già iniziare a leggere? La ringrazio in anticipo.

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    • Non ci sono tanti libri che sposano la mia causa, e quando ho pubblicato “Diciamolo in italiano” (Hoepli 2017) ero decisamente controcorrente, anche se nel frattempo le cose sono cambiate e stanno cambiando.
      Le segnalo
      – questo lavoro di Gabriele Valle: http://www.italianourgente.it/files/la-sorella-minore-555caaddd90ed332107ab791.pdf
      – Il celebre aticolo di Arrigo Castellani “Morbus Anglicus” http://www.italianourgente.it/files/morbus-anglicus-5562d24be0aa734270100f2f.pdf
      – Un lavoro che raccoglie contributi di vari autori, non tutti “amici” per usare le sue parole, ma autorevoli e curato dall’Accademia della Crusca: Sullam Calimani, Anna Vera (a cura di) (2003), Italiano e inglese a confronto: Atti del Convegno “Italiano e inglese a confronto: problemi di interferenza linguistica”, Venezia, 12-13 aprile 2002. Cesati, Firenze
      – Cabiddu, Maria Agostina (2017) (a cura di), L’italiano alla prova dell’internalizzazione,
      goWare ed Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA, Firenze-Milano.
      – Villa, Maria Luisa (2013), L’inglese non basta. Una lingua per la società, Bruno
      Mondadori-Pearson, Milano.
      – Phillipson, Robert (1992), Linguistic imperialism, Oxford University Press.
      – Giovanardi, Claudio; Gualdo, Riccardo; Coco, Alessandra (2008), Inglese-
      italiano 1 a 1. Tradurre o non tradurre le parole inglesi?, Manni,
      San Cesario di Lecce

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  12. Inoltre si potrebbero anche riesumare gli esonimi italiani degli stati africani Mauritius e Seychelles come “Maurizio” e “Seicelle”, che venivano spesso usati nei testi degli atlanti di qualche decennio fa come la De Agostini o la Zanichelli, in modo di divulgarli nell’uso comune!!! Cosa ne pensate?

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    • Personalmente credo che l’italianizzazione dei luoghi geografici appartiene al passato (un tempo si diceva Nuova York) e oggi è abbandonata, per cui mi sembra una battaglia destinata a perdere. In generale stiamo assistendo al contrario a un’anglicizzazione dei toponomi (il made in Italy ne è un effetto collaterale) perché i nomi che invece negli Usa adattano alla loro lingua poi si diffondono e espandono ovunque attraverso l’inglese globale.

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