L’italiano non puzza

A ognuno puzza questo barbaro dominio” scriveva Machiavelli nel Principe, auspicando che i Medici potessero liberare il nostro Paese dalle occupazioni straniere e anticipando un tema che sarebbe esploso nel Risorgimento.

Questo motto fu ripreso nel 1933, con un’accezione linguistica, da Paolo Monelli nel libro Barbaro dominio che processava i forestierismi. All’epoca erano pochi, circa 500, ed erano per la maggior parte francesi. Dieci anni dopo, in una seconda edizione ampliata, diventarono 650, ma questa ostilità alimentata dalla politica fascista non nasceva affatto con il fascismo e riprendeva le ben più antiche polemiche dei puristi e di una “questione della lingua” che dal Cinquecento all’Ottocento si è nutrita anche delle invettive contro le parole straniere.

Il purismo teorizzato da Pietro Bembo, che è diventato il punto di riferimento delle prime grammatiche della nostra lingua e del primo vocabolario della Crusca, condannava i barbarismi insieme alle voci dialettali, ai neologismi e alle parole tecniche e meno letterarie, e respingeva il lessico di derivazione straniera più che i pochi “prestiti” non adattati. Alla fine dell’Ottocento in un dizionario dei neologismi di Giuseppe Rigutini venivano rigettate parole come emozione, dal francese émotion, o deragliare, dall’inglese raile, al posto di “uscir dalle rotaie”. Scorrendo opere come queste colpisce il fatto che nell’elenco dei neologismi e dei forestierismi i vocaboli non adattati si contano sulle dita delle mani, il processo alle maleparole riguardava soprattutto le italianizzazioni bollate come illecite per motivi di principio.

Nei dizionari del Duemila la metà dei neologismi è invece in inglese crudo, e l’italiano è sempre meno in grado di evolversi in modo autonomo, in sempre più settori ci mancano le parole italiane per esprimere il nuovo. Gli oltre 4.000 anglicismi registrati che si sono accumulati perlopiù dagli anni Cinquanta superano di gran lunga la somma di tutti gli altri forestierismi di ogni lingua del mondo. Le parole francesi, una lingua che ci ha influenzati per secoli, sono solo un migliaio, gli ispanismi e i germanismi non adattati sono meno di duecento, e per gli altri idiomi tutto si riduce a una manciata di parole o al massimo a poche decine per lingua.

Il problema non sta nei forestierismi, ma nella sproporzione degli anglicismi, e solo quelli: il loro numero impazzito sta snaturando la nostra lingua, la sta facendo regredire e trasformando in itanglese.

Oggi a puzzare è l’italiano. Accecati dal mito americano, plagiati dall’inglese internazionale, dalla lingua delle multinazionali statunitensi che esporta con le sue parole i nuovi oggetti e concetti, siamo inebriati dal profumo dei suoni inglesi che importiamo e sostituiamo ai nostri in modo dissennato, senza renderci conto che stiamo distruggendo, giorno dopo giorno, il nostro patrimonio linguistico così amato in tutto il mondo, e la nostra ecologia linguistica.

Mentre le istituzioni e gli studiosi, in Francia, Spagna, Islanda, Svizzera e in moltissimi altri Paesi sono in prima linea per la tutela del proprio idioma minacciato dallo tsunami anglicus globale, da noi vige l’anarchismo linguistico e la legge del più forte, per cui l’italiano non può che soccombere davanti al globalese. E la politica sembra più attenta a tutelare l’inglese che non la nostra lingua madre.

Il nostro ecosistema linguistico è schiacciato da uno squilibrio che va invece regolamentato. Il nostro patrimonio linguistico e la nostra identità linguistica vanno promossi e tutelati. Lo ripeto da un lustro dalle pagine di questo sito che ha appena compiuto 5 anni di vita. E passando dai lamenti all’azione, in questi anni, tra le tante iniziative, ho dato vita al più ampio repertorio di alternative agli anglicismi in Italia, ho lanciato una petizione a Mattarella sottoscritta da più di 4.000 persone, e ho presentato una petizione di legge alla Camera e al Senato sostenuta da oltre 2.000 cittadini.

Grazie al portale Italofonia.info e alla comunità degli Attivisti dell’italiano, in vista delle elezioni del 25 settembre, stiamo scrivendo ai parlamentari chiedendo loro, come elettori, di prendere in considerazione la nostra petizione di legge e di discuterla in Parlamento nel prossimo esecutivo.

Invito tutti coloro che hanno a cuore l’italiano a unirsi a noi e a fare sentire la propria voce. Lo si può fare in pochi minuti utilizzando questo modulo.

Un grazie di cuore alle oltre 350 persone che hanno già inviato la propria lettera e ai 2.100 elettori che hanno sottoscritto la petizione di legge. Queste firme saranno inviate in Parlamento non appena si insedierà il nuovo governo.

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23 pensieri su “L’italiano non puzza

  1. Email inviate. Speriamo cambi qualcosa, che davvero ormai è diventata una situazione ridicola. Dal red carpet al cat calling (prova a chiamare un gatto fischiando…).
    Il fatto peggiore, secondo me, è che tutti ripetono a pappagallo quello che sentono, dimostrando pigrizia mentale.
    L’altro giorno ho criticato una serie di espressioni inglesi su Linkedin e mi sono sentito rispondere che i “concetti arrivano dai paesi anglosassoni, e così sono riportati. In italiano, secondo me, non renderebbero l’idea”.
    Quindi oggi parlare e scrivere in italiano diventa incomprensibile per gli italiani e ci tocca parlare e scrivere in inglese.

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  2. Col nuovo parlamento non si potrebbe comunicare loro tale situazione drammatica in cui versa l’Italiano, e magari tentare di provi rimedio ?? Sento molti politici che vogliono puntare su un rilancio della cultura, se tale rilancio non coinvolgesse la lingua nazionale sarebbe un’ipocrisia abnorme. Il punto è che poi gli stessi politici che puntano sulla cultura o che vogliono difendere l’italiano sono i primi a ricorrere ad anglicismi inutili. L’ultimo orrore che ho sentito è “… è unfit per governare”.

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  3. Sinceramente non starei adesso a puntare il dito se uno qui nello spazio dei commenti usa “social” o “post” o “email” o “blog”, poiché appunto non prendiamoci in giro, volenti o no sei costretto ad usarli nella vita di tutti i giorni. Purtroppo in molti casi gli equivalenti italiani o non ci sono veramente (nel senso che non sono “universalmente” riconosciuti da tutti visto l’assenza di neologismi) o comunque sono poco usati, quasi desueti. Voglio dire, la vera conquista sarebbe andare in giro dicendo “autoscatto” al posto di selfie senza che mi si guardi “male” o non si capisca che cosa volessi intendere…

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