Childfree e childless

Gentile Michela Andreozzi,

sul Corriere di ieri leggo che vorrebbe aprire un concorso per trovare un neologismo italiano per spiegare la differenza tra chi come lei si definisce childfree, consapevolmente senza figli, e chi invece è childless, cioè non ha figli suo malgrado.

Mi piacerebbe tanto partecipare a questo concorso, ma ci sono molti ma…

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La questione non è tanto che in italiano ci manchino le parole, il punto è che ci piace dirle in inglese.

Una donna che non ha uno spirito materno – o un uomo apaterno, non paterno, visto che questa scelta riguarda anche l’universo maschile – potrebbe essere benissimo definita come amaterna o non materna. E una donna che non ha figli suo malgrado potrebbe essere semplicemente una mamma mancata, che potremmo dire spiritosamente mammancata se proprio c’è la necessità di esprimere questo stato d’animo con una parola nuova.

Sono consapevole che queste alternative suonino ridicole. E proprio questo è il cuore della faccenda.

Si potrebbero inventare tantissime altre parole più evocative delle mie, ma probabilmente suonerebbero brutte, insolite, per il semplice fatto che le parole devono entrare nell’uso, non solo esistere, e come notava già Leopardi le parole che muovono le risa sono quelle che non siamo abituati a sentire. Solo l’abitudine ce le fa apparire belle o brutte.

La questione che lei pone è analoga a quella dei single.

Single per scelta.
Di chi? Tua o degli altri?

Questa è l’immancabile battuta che si sente ripetere chi si dichiara single, orgogliosamente oppure con la malcelata disperazione di una zitella. Anche in questo caso manca una parola per esprimere questa differenza non troppo sottile. Ma forse non si sente l’esigenza di coniarla.

Perché ricorriamo all’inglese?
Un tempo chi non era sposato era signorino e signorina, parole oggi cancellate anche dal linguaggio burocratico-amministrativo. C’era scapolo, nubile, celibe… Chi le usa più nel linguaggio di tutti i giorni? Al massimo circola singolo, inizialmente un falso amico, che per influsso dell’inglese ha cominciato a designare non più solo ciò che è unico, ma anche chi è single.

Ecco, tornando alla genitorialità mancata e non voluta, anche se avessimo parole italiane per esprimere questa differenza, mi permetta di dubitare che queste parole sarebbero preferite all’inglese.  Mi permetta di dubitare anche che dirle in inglese risolva tutto, perché un italiano medio non capisce affatto la distinzione tra childfree e childless, che infatti necessita di una spiegazione per risultare comprensibile.

Essere senza prole per scelta e trovarcisi nostro malgrado è come trovarsi senza parole (italiane) per scelta (perché si preferisce dirle in inglese), ed essere senza parole nostro malgrado, perché non ci sono. A volte usare locuzioni più lunghe può essere un buon inizio. In fondo childfree e childless, anche se si scrivono attaccate, in inglese sono parole composte: child + free o less. Questo è un aspetto dell’inglese che i linguisti hanno trascurato e non hanno mai approfondito né colto, probabilmente. Eppure basta consultare i dizionari: quasi la metà degli anglicismi in italiano sono locuzioni o parole composte, non sono affatto “prestiti isolati” come nel caso di tutti gli altri forestierismi. E per questo si moltiplicano e si intrecciano con un effetto domino sempre più contagioso. Se oggi si stanno imponendo nell’italiano è perché le loro radici circolano in tanti altri composti e locuzioni che si ricombinano tra loro in tutti i modi.

Less (= senza) ricorre in cordless e wireless (rispettivamente apparecchi o connessioni senza fili), in ticketless (biglietto digitale, telematico, virtuale), in homeless (senzatetto)…  e free lo troviamo nei prodotti carbon free (privi di emissioni di carbonio), fat free, gluten free (senza grassi e senza glutine) e nei duty free (zone franche o negozi esentasse).

Questo è l’inglese che straripa nella nostra lingua sempre più incontrollato. Crediamo che gli anglicismi siano dei “prestiti” cui attingere quando non abbiamo le parole, e dunque qualche linguista definirebbe childfree e childlessprestiti di necessità“, usando categorie ridicole e obsolete di più di cent’anni fa che non sono in grado di dare una spiegazione al fenomeno dell’itanglese. Ma la realtà è un’altra. Gli anglicismi costituiscono una rete che si allarga nel nostro lessico, una lingua nella lingua, che spesso fa morire le parole italiane anche quando ci sono. È su questo sostrato che poi diventa impossibile proporre alternative italiane.

Chi dice più pluriomicida davanti a serial killer? E calcolatore/elaboratore davanti a computer? Stanziamento o tetto di spesa invece di budget? E notizie false invece di fake news? Questi sono prestiti sterminatori. Parole che sono entrate in modo dirompente e da “prestiti di lusso” si sono trasformati in “prestiti di necessità”, non perché ci manchino le parole, ma perché i parlanti – come lei che nell’articolo dice di avere fatto coming out, invece che per esempio una pubblica ammissione o dichiarazione – le vogliono dire in inglese.

In questo contesto, pensare di creare neologismi italiani suona utopistico. Il punto non è saperli creare, ma usarli! E invece, stando ai dati di Zingarelli e Devoto Oli, praticamente la metà dei neologismi del Nuovo millennio sono in inglese. Vero o presunto non importa. Basta che suoni inglese. Come i no vax, che in inglese sono gli anti-vaxxer, ma da noi si dice no vax perché abbiamo interiorizzato una regola: no global, no comment, no cost, no limits, no logo… dunque: vaccino si dice vax? E allora un bel no vax viene ormai spontaneo. Non ci mancano le parole in questo caso, ma invece di antivaccinisti preferiamo usare un inglese maccheronico.

Che cosa ne sarà della nostra lingua se andiamo avanti così? Diventerà la lingua dei morti, incapace di esprimere tutto ciò che è nuovo, che diremo in simil-inglese.

Venendo a childfree, l’unica possibilità è che chi si identifica in modo orgoglioso in questo concetto dovrebbe in modo altrettanto orgoglioso proporre un’alternativa italiana. In Francia circolano espressioni orgogliose come “Sans enfant par choix” o la “Fête des Non-Parents”. Da noi si potrebbe parlare di consapevolezza della procreazione, la scelta non procreativa è un fenomeno della società di oggi che merita di essere detto in italiano. Che ne dice delle posizioni dei non genitorialisti? Dei senza prole? Senza figli per scelta? Prole-scettici? Non bambinisti? Senza eredi? Senzabimbi? Solitari? Antiprole? Amaterni e apaterni?

Sono consapevole che le mie proposte non saranno soddisfacenti per vincere il suo concorso. Le propongo perciò di inventare lei una parola o un’espressione italiana che le piace di più e che sente di poter rivendicare con orgoglio. E la prossima volta che la intervisteranno su un giornale la gridi forte. Forse anche i giornalisti la ripeteranno. Forse si diffonderà. Non importa quale parola, l’unica cosa che importa è che si propaghi. La lingua italiana evolve o involve a questo modo. Non bisogna aspettare che qualche linguista ci dica qual è la parola adatta. Creare neologismi non è compito dei linguisti, caso mai dei giornalisti, e anche degli uomini di spettacolo come lei, di chi ha la possibilità di rivolgersi a un largo pubblico e di farsi ascoltare da tante persone.

La lingua la facciamo tutti noi parlanti e la fanno i mezzi di informazione. Il problema non è quello di inventare neologismi, il problema è smettere di preferire l’inglese. Dobbiamo cessare di vergognarci di dirlo in italiano e spezzare la convinzione che dirlo in inglese sia moderno e figo, mentre invece molto spesso è semplicemente deleterio e ridicolo.

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