Wikipedia davanti agli anglicismi. Intervista al portavoce di Wikimedia Maurizio Codogno

Nel 2015, il linguista Claudio Giovanardi scriveva:

“Per quale motivo un utente italiano dovrebbe andare a cercare in un dizionario monolingue una parola inglese? Presumibilmente perché vuole conoscerne il significato (oltre alla grafia) e vuole trovare un’alternativa italiana più accurata e meditata rispetto a ciò che potrebbe trovare in un comune dizionario bilingue. Si potrebbe dunque inserire il forestierismo nel lemmario, ma con un corrispettivo secco al corrispondente italiano…”

[“Un bilancio delle proposte di traduzioni degli anglicismi 10 anni dopo”, pp. 64-85, in Claudio Marazzini e Alessio Petralli (a cura di), La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi, Accademia della Crusca/goWare (e-book, formato epub), 2015].

Queste parole si riferivano alla constatazione che, nel registrare gli anglicismi che si diffondono, i dizionari puntano spesso alla definizione e al significato, ma non sempre li affiancano ad alternative o traducenti, dimostrando “una notevole timidezza per tutto ciò che è di matrice italiana, per il made in Italy del lessico”.

Aggiungo anche che (a parte il problema delle “parole mancanti” di cui non circolano altenative) c’è una notevole differenza tra gli anglicismi riportati in un dizionario inglese/italiano e quelli riportati dai dizionari italiani, e in molti casi le cose non coincidono affatto. Esistono molte voci che sono pseudanglicismi, e non esistono nei Paesi anglofoni (pile, slip, smoking, footing, autostop, beauty case…). Così come certe decurtazioni maccheroniche non corrispondono all’inglese, e basket, per esempio, in inglese è cesto, non pallacanestro (basketball), come social vuol dire sociale, non rete o piattaforma sociale (social network). E poi ci sono le sedimentazioni che certe parole inglesi acquisiscono solo in italiano, per esempio lo shopping, usato in inglese anche per fare la spesa, ma che da noi si trasforma nell’andar per vetrine, cioè nel fare acquisti di lusso o per la persona. E ancora, il più delle volte importiamo solo una delle accezioni inglesi, per cui tablet da noi si è affermato come tecnicismo per indicare un lettore digitale portatile, ma in inglese è più genericamente una tavoletta, una lastra, persino una pastiglia. In queste differenze tra inglese e italiano è allora molto importante che i dizionari rimandino alle alternative italiane.

Va detto che, nel 2017, il Devoto Oli sembra aver seguito le considerazioni di Giovanardi inserendo una lista di 200 equivalenti italiani. Una lodevole iniziativa, ma forse un po’ “scarsa” di fronte ai 3.500 anglicismi riportati nel dizionario.

Nel realizzare il dizionario AAA (Alternative Agli Anglicismi) sono partito da queste premesse: colmare le lacune dei dizionari affiancando soprattutto i traducenti e i sinonimi in uso e possibili (oltre alle spiegazioni). In Francia e in Spagna ciò viene fatto istituzionalmente o dalle accademie, che si possono permettere anche di proporre neologismi e nuovi traducenti, cosa che personalmente non ho certo l’autorevolezza di fare. Da noi il Gruppo incipit dell’Accademia della Crusca interviene sugli anglicismi incipienti con un approccio importante da un punto di vista simbolico – come quando si è scontrato con il linguaggio del famigerato sillabo del Miur – ma senza operare in modo sistematico, e i suoi comunicati riguardano poche decine di sostitutivi, l’ultimo dei quali l’emblematico pornovendetta (che avevo registrato anche io) al posto di revenge porn.
La mia iniziativa è invece indipendente e partita “dal basso”, ma è diventata una comunità dove i lettori partecipano con suggerimenti di parole mancanti e traducenti, oltre che con le segnalazioni di correzioni. Lo spirito è simile a quello della Wikipedia, con una sostanziale differenza (dimensioni a parte): i contenuti segnalati dal popolo della Rete sono filtrati, amalgamati e riscritti in un modo da mantenere uniforme il taglio dell’opera.

Quanto ad altre iniziative dal basso (a parte lavori specifici come Italiano urgente di Gabriele Valle o “Italiano ci manchi: lista dei traducenti italiani” del Forum Cruscate), mi pare che in generale le pagine in Rete seguano la “timidezza” dei dizionari nel riportare le alternative agli inglesismi, ma ho invece notato che da questo punto di vista Wikipedia è un’ottima fonte, attenta e ricca in modo decisamente superiore ad altre opere cartacee blasonate.

wikipedia italiana
Per discuterne ho intervistato il portavoce italiano di Wikimedia Italia, Maurizio Codogno, in Rete attivissimo sin dagli albori con vari siti, e noto anche  come “.mau.”.

 

Wikipedia: intervista a .mau.

Per cominciare a parlare dell’attenzione “dell’enciclopedia libera” per la nostra lingua, partirei dal suo nome: “Wikipedia in italiano” e non “Wikipedia Italia”, una differenza significativa che stacca giustamente il concetto di lingua da quello del Paese, è così?

Maurizio Codogno mau portavoce Wikipedia
Maurizio Codogno (.mau.) portavoce di Wikimedia Italia

La scelta di suddividere Wikipedia in edizioni linguistiche e non nazionali è una delle tante generalmente ignorate da chi usufruisce dell’enciclopedia, il che è chiaramente un peccato. Tanto per fare un esempio, questo significa che quando si scrive una voce generalista bisogna sempre ricordarsi che non sarà letta solo dai nostri connazionali, ma per esempio anche dai ticinesi o dalle comunità italofone all’estero, e quindi non possiamo dare nulla per scontato. Anche questo è un modo per cercare di essere il più neutrali possibili. Inutile dire che per lingue parlate in tutto il mondo come inglese, francese o spagnolo questa attenzione è ancora più importante!

Venendo alla pronuncia italiana di un’opera di matrice angloamericana, il presidente della Crusca Claudio Marazzini si è espresso in favore di “vikipedìa”, invece di “uikipìdia” o in altri modi. Tu che cosa ne pensi?

La posizione ufficiale è: “Pronunciatela come volete”.
Da un punto di vista puramente teorico – anche se immagino che molti inglesi dicano “uichipìdia” – “vichipedìa” dovrebbe essere la pronuncia corretta: la radice “wiki” è una parola hawaiana dove la lettera “w” si pronuncia “v”. Essendo poi un’encicloPEDÌA, l’accento finisce sull’ultima “i”.
Però, lo ammetto, sono il primo a predicare bene e razzolare male, con una pronuncia ibrida “vichipédia” che non è né italiana né inglese.

Cercando gli anglicismi sulla Wikipedia ho notato un’attenzione nel riportare gli equivalenti italiani molto spiccata, non di rado sono indicati all’inizio della voce, cosa che nelle opere cartacee non è così frequente. Dunque trovo che l’opera sia una fonte molto utile da questo punto di vista. Immagino che dipenda dalle linee guida che valgono anche per gli altri Paesi, dove questa prassi che a noi appare strana è invece più frequente e normale.

Bisogna ricordare innanzitutto che non esiste una “redazione di Wikipedia”, e che le scelte stilistiche sono condivise tra i contributori. Si può insomma dire che ci sono alcune persone che amano aggiungere alternative italiane ai termini anglofoni presenti nell’enciclopedia, e che in generale gli utenti non sono contrari a questa scelta. Non trovo che la scelta sia così strana: in fin dei conti l’enciclopedia deve riportare tutti i modi comuni in cui un concetto è chiamato, perché altrimenti non si ha la possibilità di trovare l’informazione richiesta. Quello che Wikipedia di per sé non dovrebbe fare è definire quale sia il termine “giusto”: non lo fa la Crusca, figuriamoci noi!

Tempo fa avevo tentato di fare un confronto, limitato alla lettera “A”, tra gli anglicismi presenti nella Wikipedia in italiano e quella in francese (cfr. “Anglicismi in Francia e in Italia: non c’è partita“). Il bilancio era nettamente diverso: in francese molte voci inglesi sono assenti, oppure vengono reindirizzate alla pagina dell’alternativa francese, e anche sull’indicazione delle alternative la versione italiana è più “parca”. Lo stesso mi è capitato di notare nel caso della versione spagnola. Esistono dei dati o dei confronti tra il trattamento degli anglicismi nei differenti Paesi?

Non sono a conoscenza di studi sul numero di anglicismi presenti nelle diverse edizioni linguistiche di Wikipedia. Mi aspetterei che per esempio in francese ce ne siano di meno, ma solo perché lì la lingua viene difesa, a volte sin troppo.
Però vorrei ricordare che tra i progetti della Wikimedia Foundation non c’è solo l’enciclopedia, utile per questi tipi di ricerche, c’è anche il Wikizionario. Esiste anche la versione in lingua italiana, nel senso che le definizioni sono scritte in italiano, ma contiene parole in tantissime lingue.

Fuori dal tuo ruolo di portavoce di Wikimedia Italia, sei molto attivo in Rete con i tuoi siti, e so che più di una volta sei intervenuto anche sul tema dei sostitutivi alle parole inglesi, per esempio promuovendo “furbofono” come alternativa a smartphone e con altre considerazioni.

“Furbofono” (che non ho inventato io, ma mi piace e quindi lo uso) è una di quelle parole che definirei “ridicola ma seria” (“ha ha only serious” della tradizione hacker). A pensarci bene, la maggior “fregatura” di usare parole inglesi è che rimangono opache anche a chi mastica bene la lingua di Albione. Se abbiamo uno smartphone ci troviamo tra le mani un “coso” che può fare tante operazioni diverse, a volte persino le telefonate. Ma se usiamo un “furbofono” capiamo – almeno subliminalmente – che in qualche modo vorrebbe fregarci…
Più in generale, credo che il problema sia proprio questo: in molti casi il termine inglese serve solo a nascondere la nostra ignoranza. Non è sempre così, ci sono concetti per cui non avevamo una parola nostra e allora tanto vale riprendere quella inglese che almeno ci permette di essere capiti ovunque, nonostante il nostro accento. Ma perché abbiamo cominciato a parlare di Human Resorces quando avevamo gestione del personale che andava benissimo e non sviliva i lavoratori come fossero “risorse” disumane, magari intercambiabili o licenziabili quando fa comodo? Esiste anche il calco risorse umane che però non ha mai davvero attecchito, e in casi come questi sono convinto che “personnel management” avrebbe soppiantato “gestione del personale” se sotto le parole non ci fosse appunto stata questa spersonalizzazione che è tanto di moda.

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mauMaurizio Codogno è noto anche come .mau.
Nato a Torino nel 1963, laureato in matematica alla Normale di Pisa e in informatica a Torino, sfugge a ogni etichetta e si occupa di troppe cose perché non riesce mai a decidere quale sia la più importante. Si definisce “matematto divagatore” perché sotto sotto non fa davvero il matematico e, soprattutto, quando racconta qualcosa parte poi per la tangente. Ogni tanto scrive libri divulgativi (l’ultimo è Numeralia, Codice 2019) e fa il portavoce di Wikipedia. Tra i tanti suoi “posti” in Rete, i principali sono xmau.com e ilpost.it/mauriziocodogno.

 

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