Le parole del 2020: è anglodemia!

Nell’individuare le parole che si sono imposte in questo sciagurato 2020 è inutile dire che la maggior parte sono legate alle vicende della pandemia. Ed è altrettanto inutile sottolineare che la maggior parte ci arrivano dall’inglese, a cominciare da coronavirus e covid.

La più antica attestazione di coronavirus è nella lingua inglese, risale al 1968 (registrata anche dall’Oxford dictionary) ed è un composto dal latino con l’inversione del determinante corona all’inglese, come hanno ricostruito Salvatore Sgroi e Claudio Marazzini.
All’epoca non riguardava gli uomini, era un virus caratterizzato dalla struttura a corona (virus a corona potremmo dire più chiaramente in italiano, ma a nessuno viene in mente) individuato in alcune specie animali. Poi ha fatto il salto di specie, che nel 2020 si è detto soprattutto in inglese, spillover che infatti è stato inserito tra i neologismi del Devoto Oli 2021 appena uscito. Anche la struttura della corona che è fatta di spuntoni si esprime in inglese, e tra gli addetti si parla senza alternative di spike.
In italiano avremmo spinula che in ambito scientifico e biologico indica appunto una formazione anatomica o patologica a forma di spina. Ho domandato all’immunologa Maria Luisa Villa (corrispondente della Crusca) se fosse una traduzione corretta, proponendo di usarla. Mi ha risposto che la trovava ottima e ha subito scritto al virologo Fabrizio Pregliasco per sapere che ne pensasse, visto che nessuno l’aveva mai impiegata. È piaciuta anche a lui… ma qualcuno ha mai sentito parlare di proteina a spinula? Gli scienziati nemmeno si pongono il problema (con l’eccezione di Villa e pochi altri), importano dall’inglese e basta. Ma anche i divulgatori preferiscono riempirsi la bocca di spike protein.


Anche covid è una sigla che ci viene dall’inglese, è la denominazione ufficiale che l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’11 febbraio 2020, ha attribuito alla malattia causata dal virus a corona, più precisamente COVID-19: COronaVIrus Disease 19, dove 19 indica l’anno di identificazione del virus. Questa parola si sta attestando soprattutto al maschile, perché confusa con il virus che la causa, ma lo stesso è accaduto per l’aids, che sarebbe una Sindorme da ImmunoDeficienza Acquisita che noi diciamo all’inglese, ma nelle lingue romanze si chiama di solito Sida secondo l’ordine naturale delle parole nelle rispettive lingue (noi no!); comunque ci sono altre malattie maschili, dal morbillo al vaiolo, e non mi pare un problema. Il problema è semmai che covid si porta poi con sé varie locuzioni anglicizzate, dai covid hospital ai covid pass di cui si è discusso quest’anno per indicare una sorta di patente di immunità, dai covid manager ai luoghi covid free (gli anglicismi non sono mai isolati, sono prolifici).

Coronavirus e covid sono il risultato dell’interferenza dell’inglese internazionale, ma non costituiscono un danno per la lingua italiana perché – anche se terminano per consonante – non violano le regole della nostra pronuncia e scrittura, dunque sono inglesi soltanto nella loro etimologia. A meno che non si dica “coronavàirus” come qualcuno ha fatto (e non solo Di Maio) per sentirsi più americano, ma l’effetto alla Nando Moriconi (interpretato da Alberto Sordi in Un americano a Roma, Steno 1954) è stato disincentivante.

Anche il distanziamento sociale è un calco dell’inglese di nuova coniazione, ma magari traducessimo o italianizzassimo più spesso! Purtroppo lo facciamo sempre meno (in meno del 30% dei casi stando al Gradit 2006), come nel caso di lockdown, la parola dell’anno secondo il dizionario Collins, che è un po’ il simbolo dell’anglodemia che caratterizza la lingua italiana. Da noi è arrivato sui giornali e in tv esattamente il 17 marzo 2020, prima parlavamo di blocco, isolamento, serrata, blindare, zona rossa, chiusura… Poi, siccome i giornali inglesi hanno chiamato tutto ciò italian lockdown, ecco che lo abbiamo importato bello, nuovo e crudo. Il 17 marzo scrivevo: “Vuoi vedere che questa parola oggi in prima pagina sul Corriere digitale diventerà «la» parola che useremo nel futuro al posto di isolamento, blocco, quarantena?
Non mi ero sbagliato.

Tra gli altri neologismi inglesi più eclatanti legati alla pandemia ci sono droplet al posto di goccioline, wet market per indicare i mercati degli animali vivi come quello di Wuhan, si è cominciato a parlare di recovery fund, recovery plan e adesso anche di recovery next generation invece di piano o fondo per la ripresa o per le nuove generazioni; di drive in test o drive through per indicare molto più semplicemente i tamponi in macchina; si è imposto il contact tracing che sarebbe solo un tracciamento dei contatti (e che si affianca al tracking che già usavamo per esempio per il tracciamento dei pacchi postali), è esploso il preesistente smart working per designare il lavoro agile, da casa o a distanza, si è parlato di coronabond, termoscanner, e jogging ha avuto avere la meglio su runner e sulle corsette; il governo ha introdotto il cashback e diffonde il cashless, il click day che fa il paio con il family day e una serie sempre più alta di day, il cui ultimo della serie è il futuro v-day, il giorno in cui inizieranno i vaccini (il giorno del vaccino è troppo italiano).

Tra gli anglicismi meno stabili ci sono stati quelli come staycation, cioè il turismo di prossimità o le vacanze a casa e deliri tipicamente italioti come il south working che non sembra destinato a prendere piede.
Altri anglicismi come cluster si sono radicati con il nuovo significato di focolaio, mentre i centri ospedalieri sono diventati hub (“Il Sacco di Milano è ormai l’hub di riferimento della Lombardia per il coronavirus”). Ai no vax si sono aggiunti i no mask (la mascherina si mette quotidianamente, ma quando diventa una categoria alta nella gerarchia delle parole si esprime in inglese) e nella follia in cui si dice no + qualunque-cosa-suoni-inglese si parla anche dei no dad, che non sono gli orfani di padre ma i contrari alla didattica a distanza.

Molte parole inglesi che già c’erano si sono radicate, e la loro frequenza è salita, per esempio app (che però potrebbe essere l’abbreviazione di applicazione e dunque è una parola di fatto italiana, nonostante il suo etimo), trend, task force, screening che si porta con sé l’entrata nella lingua italiana di screenare in modo sempre più ufficiale; e poi voucher (“Coronavirus. Congedi parentali, legge 104 e voucher baby sitter” laRepubblica.it, 20/3/20; “Soggiorno annullato per coronavirus? Si ha diritto a voucher o rimborsi”, IlSole24ore, 22/3/20) e molte altre.

Non male come media! Tra neologismi inglesi e il radicamento degli anglicismi esistenti, il 2020 (come negli ultimi trent’anni del resto) registra il trionfo dell’itanglese e si dovrebbe parlare di anglodemia, che si appoggia bene alla pandemia (una delle parole più gettonate) e all’infodemia (information + epidemic), un neologismo fresco fresco per indicare l’esplodere incontrollato delle informazioni spesso poco attendibili, diffuso dall’Oms ai primi di febbraio.

L’anglodemia è appunto l’esplodere incontrollato dell’inglese, spesso poco attendibile perché fatto molte volte di pseudoanglicismi o di parole inglesi che diciamo solo noi, non sono “internazionalismi”, e non ricorrono affatto in Francia o in Spagna, per esempio.
E a proposito di altri Paesi dovremmo chiederci cosa è arrivato nel 2020, fuori dall’inglese.
Triage e plateau si sono usati molto, ma attenzione: sono francesismi solo nella forma, in realtà li usiamo perché li abbiamo importati dall’inglese, visto che sono in uso anche lì. Poi si è registrata l’impennata della movida mutuata dallo spagnolo, che era in auge negli anni Novanta ed è tornata di moda. Per il resto l’italiano si conferma una lingua colonizzata dal solo inglese.


“Chi dice forestierismo oggi dice anglicismo”, ha scritto Luca Serianni (Le parole dell’italiano. Il lessico, Rcs, 2019, p. 65) e nel Devoto Oli 2021 a parte l’inglese (tra le parole non inerenti al covid ci sono anche deepfake, cisgender, fooding…) non c’è molto di eclatante. Se non qualche nipponismo e qualcosa di gastronomico (dorayaki e ramen piatti tipici giapponesi o poke, un piatto hawaiano).

“Per le parole italiane, o ascrivibili all’italiano, spicca un dato: non c’è nessuna parola primitiva, del genere di naso, traccia, vigogna” ha notato Luca Serianni (ivi, p.53) riferendosi ai neologismi. Il che significa che le parole italiane nuove sono quasi solo composti o derivati.
Tra i composti più divertenti del 2020 c’è per esempio covidiota, oppure c’è l’emergere di paucisintomatico che già esisteva ma è diventato popolare, e tra le nuove entrate del Devoto Oli 2021 c’è autoquarantena o biocontenimento, mentre tra i derivati nasce quarantenare, e poi climaticida, denatalista, immigrazionismo, parlamentizzare ma nulla di significativo, né di paragonabile alla portata delle parole inglesi.
C’è qualcosa che arriva dal gergale come sbriluccicare, ci sono molte sigle nuove o divenute popolari come dad (didattica a distanza), fad (formazione a distanza), mes (meccanismo europeo di stabilità), dpcm, spid, dpi cioè dispositivi di protezione individuale che qualcuno pronuncia “di-pi-ài” nella follia anglomane che ci acceca. E poi c’è qualche neosemia, cioè l’emergere di nuovi significati di parole preesistenti, come tamponare che non significa più solo arginare qualcosa o sbattere contro l’auto davanti, ma diventa anche il far tamponi.

Le altre parole italiane che nel 2020 si sono usate più spesso non sono nuove. C’è negazionista che allarga un po’ il suo significato alla situazione pandemica, si conferma la popolarità di sovranista, si parla di ristori nel senso di rimborsi, di congiunti per indicare i familiari stretti, e poi dominano assembramento, igienizzare e sanificare, autocertificazione, quarantena, mascherina… tutta roba vecchia.

La lingua italiana pare morta, non produce nulla di endogeno che spicca.

Se guardiamo le 10 parole più cliccate del 2020 in Italia su GoogleTrends colpisce che a parte coronavirus (ed esclusi personaggi o eventi) ci siano Classroom, Meet e Weschool. Si tratta di tre piattaforme utili per la didattica a distanza, ma l’ultima ha un nome in inglese anche se è un’impresa italiana fondata nel 2016 da Marco De Rossi e si usa nella scuola pubblica di Stato!

Andate sul sito del Ministero dell’istruzione e leggete quali sono le principali funzionalità che offre questo sistema. Si chiamano: WallBoard – TestRegistroAula virtualeChat.
Su 6, 4 sono in inglese e solo 2 in italiano.
E ciò che nel 2020 è accaduto alla nostra lingua è coerente con questo dato. L’italiano muore e l’itanglese cresce.

Buone feste a tutti.

PS
Aderisci anche tu alla campagna:

Io gli auguri li faccio in italiano!

Basta merry ChristmasHappy New Year
Buon Natale, buone feste e un 2021 migliore per tutti.

38 pensieri su “Le parole del 2020: è anglodemia!

  1. Un post di fine anno amaro ma innegabile, visto che ogni anno l’epidemia procede inarrestabile. E non parlo del coronavàirus 😛
    Sto preparando un dossier proprio pensando a te, dove dimostro che dopo settant’anni di onorevole uso della lingua italiana, Tex Willer – il re incontrastato del fumetto italiano – è diventato itanglese. E le parole che per sette decenni ha detto in italiano, ore le dice in inglese. Siccome ha la coda di paglia, sa benissimo che è una cosa altamente discutibile, cosa fa? Mette in nota la spiegazione che… non si può dire altrimenti! Puro imbarazzo per me, che lo leggo da una vita, che sono figlio di texiano (mio padre è nato insieme alla prima striscia di Tex in edicola!) e che per tutta la vita ho letto l’eroe italiano che parla italiano. Ora parla come i TG e come l’americano a Roma…
    Il virus de “non si può dire altrimenti” purtroppo è veicolato da negazionisti che fingono di additare un problema quando sono i primi untori: ogni tanto faccio capolino sui social, per poi tornare subito nel mio isolamento, che in giro c’è solo roba brutta. Tipo che “non si può dire altrimenti”…

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      • Bonelli padre e figlio hanno fondato una casa che racconta storie estere con linguaggi, cultura, stile e gusto italiani. Le storie nascevano dai western americani che invadevano le sale italiane, ma come quelli parlavano italiano, anche Tex lo faceva, e tutti i personaggi Bonelli sono sempre stati italiani.
        Quest’anno il dramma, la pandemia dell’itanglese ha colpito la casa, e in più occasioni mi sono trovato davanti termini inglesi totalmente immotivati, visto che indicano cose che si sono sempre chiamate in italiano. E quel che peggio, l’unica spiegazione addotta è che “non si può dire altrimenti”… Che tristezza…

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  2. Ciao Antonio, ho appena letto l’articolo e la situazione è sconfortante. Tra l’altro ho appena finito di ascoltare i TG nazionale e regionale e ancora devo recuperare le braccia che mi son cadute a terra. In ogni caso, a proposito della proposta sulla proteina a spinula, io sulle note del mio cellulare scrivo dei neologismi che potrebbero sostituire alcuni anglismi. Può sembrare una stranezza, ma se vuoi te ne propongo qualcuno e se ritieni di volerlo comunicare a degli esperti, come nel caso della dottoressa Villa, fai pure. Per esempio, il gelifero al posto del freezer o la vutanda (nel senso di mutanda a V) al posto dello slip o insèro (sulla scorta della parola inserto) al posto di input.
    Enrico Butera

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    • Grazie Enrico, molto bello il gelifero! Purttroppo queste soluzioni diventano degli esercizi di stile se non si usano, e anche spinula che non è una soluzione creativa ma esistente viene ignorata. Il succo è che le proposte o arrivano da traduttori che le usano e da enti preposti e blasonati, vedi Crusca che però non fa come le accademie sorelle francese e spagnole, o non hanno alcuna possibilitù di ssere recepite.

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      • Capisco quello che vuoi dire e mi rammarica che pur volendo utilizzare parole più comprensibili di quelle in inglese, per fonetica e radice, le persone non possano intenderle. Tuttavia ogni tanto faccio qualche sforzo di inserire in un discorso anche parole non usate ma registrate nei dizionari. Ad esempio, ogni tanto mi scappa in compagnia di amici elaboratore al posto di “computer” e mi rifiuto di dire “selfie” o “lockdown” usando sempre autoscatto e confinamento o tutti i sinonimi. Comunque a casa mia ci sono sia il congelatore sia il “freezer” e per questo ho pensato di costruire una parola in grado di sostituire l’anglismo, in quanto il congelatore è concepito in genere come elettrodomestico a sé molto piu capiente e non invece al di sotto o sopra del frigo.

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  3. Il 2020 è un anno davvero brutto per noi (anche per la lingua). Proprio in questo anno pieno di anglicismi ho sofferto più del solito, persino durante il mio corso di aiutante programmatore appena concluso lo scorso ottobre (ed ho rischiato pure accidentalmente di discutere con una mia professoressa che ha ripetuto esattamente quelle parole del momento, cioè “smart working” e “lockdown”, seguite poi da “project work”).

    Per me l’itanglese diventerà un problema soprattutto per quando devo cercare lavoro (io, nato nel 1991 ero laureato in scienze naturali dal 2016 e sono tuttora un disoccupato; purtroppo cercare lavoro è diventato più difficile, già prima della pandemia) e perciò come potrei mai adattarmi ?

    Io continuo a pregare affinché la petizione possa ricevere una risposta da Mattarella (almeno in ritardo). Temo che abbiamo scelto proprio il periodo sbagliato per inviarla, chissà per l’anno prossimo quando la pandemia finirà…

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  4. Faccio qualche mia considerazione sparsa, come al solito.
    Non solo che la dizione all’inglese degli anni è sempre più diffusa (20-20, 20-21, ecc.) ma sto anche assistendo ad una sempre più massiccia sparizione del superlativo assoluto

    Non più buonissimo bellissimo interessantissimo importantissimo ma super buono, super bello, super interessante, super importante…. anche in TV.

    Gli stessi servizi dei tg nazionali/regionali stanno arrivando a livelli scandalosi… così come le pubblicità, sempre più “spinte”. In questi giorni finiva la “No IVA week” di un noto marchio produttore di cellulari.

    Adesso è tutto un No XY, un XY-free, un XY day e un XY award.

    E pure gli aerei (o qualsiasi altra cosa) COVID TESTED…

    Buone festED a voi tutti…

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    • Anche i superlativi con stra e ultra sono in aumento (strabello, ultraleggero), molti arrivano dalle pubblicità he calcano questi aspetti. In compenso il superlativo si sta apllicando anche ai nomi, canzonissima, salutissimi, finalissima… ma questo è un cambiare che non mi pare pericoloso per la lingua, al contrario dello sfacelo che lascia l’inglese.

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  5. Per me il V-day è il vaffanculo-day di beppe grillo. Si poteva fare di meglio, no? Si vede che all’estero non ce l’hanno avuto! 😂. Mi servirà un dizionario per parlare in italiano in Italia. A volte mi rendo conto di italianizzare certe parole perché in spagnolo vengono tradotte o adattate. Mi vengono in mente, così a bruciapelo: vegano/a che invece in Italia vedo si usi molto “vegan” come se fosse un così grande sforzo per noi pronunciare le vocali finali; cisgender e io lo avrei detto “cisgenere”, dato che in spagnolo si dice cisgenero (🇮🇹genere =
    🇦🇷género = 🇺🇸gender)

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    • Cara Isa, per renderci conto di come siamo messi, basta fare qualche ricerca sui giornali, e non solo, per rendersi conto che il V-day nel tempo è stato utilizzato: nel 2007 il vaffa day di Grillo, nel nel 2008 per indicare il giorno di Walter Veltroni alla guida del partito democratico, e adesso per i vaccini. Tutto quel che inizia con “v” va bene, basta esprimerlo in questo inglese ridicolo, che se non si abbrevia si dice per esteso: family day, click day, election day, open day e chi più ne ha più ne metta.
      Cisgender in italiano si dice anche cisessuale, volendo, ma hai sviscerato il punto: VO-LEN-DO!
      La classe dirigente italiana è fatta di colonizzati nella testa che ripetono volutamente l’inglese. Una persona di ambito ispanico, che mediamente non si vergogna della propria lingua e ne va fiera, è portata naturalmente a mettere in atto processi adattativi e dire per esempio cisgenere. Di noi iccome queste cose – come il linguaggio inclusivo – vengono da categorie statunitensi, le importiamo con la loto terminologia che non traduciamo, anzi dobbiamo ostentatore come sacra, e i primi a farlo sono proprio i siti dedicati all’omosessualità – che si chiamano gay – che si battono contro le discriminazioni e per i loro diritti. Costoro introducono le categorie in inglese e le ripetono a pappagallo imponendo questi termini e spiegando che si dice così.
      Il risultato è che l’italiano va in frantumi e Valeria della Valle, nel suo ultimo lavoro sui neologismi dell’ultimo decennio (realizzato con Giovanni Adamo), ha denunciato che sui giornali “hanno fatto il loro ingresso 17 termini con ‘gender’ contro 13 con ‘genere’ (stessa cosa per ‘smart’, food ecc..).
      Oggi in italiano circolano perciò oltre al nuovo cisgender, anche genderless, transgender, gender fluid, agender, genderqueer, gender-neutral… e alla fine genere non si usa più in queste casi e tutto è gender. Il problema è che questo non riguarda solo ambiti come quello della sessualità, riguarda ogni settore, dove l’inglese viene importato perché siamo un popolo finito, colonizzato, culturalmente prima che linguisticamente.

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  6. Zoppaz, il sito degli Attivisti dell’italiano è ancora molto incompleto. Sono sicuro che te e Cantoni lo sistemerete bene per l’anno prossimo. Al momento quanti sono in totale i primi iscritti della comunità, dal suo lancio fino ad oggi ? Nel frattempo si sono uniti anche Giulio Mainardi e Giuseppina Solinas (amministratrice del gruppo Facebook “Viva l’italiano, abbasso l’itanglese”).

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  7. Volevo scrivere un articolo, o un piccolo dizionario simile inglesismi-italiano. ‘Controllate le e-mail, lì troverete un link, se cliccate e fate il download di Teams comparirà un quiz..’. Sono davvero così le e-mail universitarie e di lavoro.

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      • Il guaio è che conoscere e parlare il proprio dialetto è da zoticoni, e invece maneggiare l’inglese è il nuovo simbolo della persona istruita, accolta amorosamente nel mondo e intellighenzia. Perchè schernire un ministro che non parla correttamente l’inglese? Come se fosse una menomazione. La Merkel si affida a traduttori, orgogliosamente (si presume) parlando la propria lingua, qualsiasi sia il pubblico o il luogo.
        Ho vissuto sempre all’estero, e come si sa, gli inglesi al contrario di noi di apprendere o inserire nel proprio vocabolario termini stranieri (a parte fondue, pesto, ciao, e latinismi storpiati dal loro accento..Ab inisscciio, vais vursa, ad leebeetum) non ne vogliono sapere. Complimenti per la pagina ed il tuo lavoro, aggiunto la scheda ai preferiti!

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        • La dittatura dell’inglese è un progetto internazionale che ha radici storiche che affondano nel colonialismo, e consiste nell’imporre a tutto il mondo questa lingua NATURALE dei popoli dominanti (che così usano la propria invece di imparare le altre) a tutti gli altri, come il latino dell’età imperiale (non quello della teologia medievale usato per la scienza ma che non era la lingua di nessuno). Il multilinguismo non è un valore in questa visione, ma un ostacolo al “globalese” e si vuole portare ogni Paese sulla via del bilinguismo dove le lingue locali sono un “accidente” come un tempo lo erano i dialetti. Questi ultimi erano segno di ignoranza ai tempi dell’unificazione dell’italiano, e molti sono scomparsi in questa fase. Oggi per fortuna sono rivalutati come segno di cultura, ma per molti è troppo tardi, sono morti. Quello che succede a molte lingue locali, soprattutto in Africa, è simile, ma il genocidio linguistico attuale è causato soprattutto dall’inglese, che quando viene usato come lingua nella scuola, o nel lavoro, porta alla scomparsa delle lingue locali, se sono lingue parlate da poche persone. Come ha osservato un grandissimo linguista tedesco, Jurgen Trabant, nei Paesi europei la conoscenza dell’inglese – più che estinguere le lingue – sta portando a una nuova “diglossia neomedievale”, e cioè a una lingua di rango “superiore” usata e ostentata dalla classe dirigente che spacca i Paesi socialmente, e divide escludendo e discriminando chi non conosce l’inglese. Questo progetto politico in Italia è perseguito da anni ed è culminato nella riforma Madia del 2017 che rende la conoscenza dell’inglese OBBLIGATORIA nei concorsi pubblici. Se precedentemente bisognava sapere una lingua qualsiasi (W il multilinguismo!) adesso “lingua straniera” è stato sostituito da “lingua inglese”, è diventato un requisito, come se sapere altre lingue come il tedesco, francese, spagnolo… fosse un segno di ignoranza (per saperne di più: https://diciamoloinitaliano.wordpress.com/2020/10/05/dal-multilinguismo-allinglese-obbligatorio/). Il fatto che l’italiano non sia più lingua del lavoro in Europa, o che il Politecnico di Milano impartisca le lezioni di fatto solo in inglese (e in barba alle sentenze) va nella stessa direzione.

          Tutto ciò ha delle ricadute pesanti anche sull’italiano e si aggiungono alle forti pressioni dell’inglese globale esportato dalle multinazionali, dalla scienza, dalla tecnica, dal mondo del lavoro… che impiegano i termini inglesi e li esportano come fossero internazionalismi. Mentre in Francia e in Spagna il buon senso, le leggi e le accademie contrappongono a queste pressioni esterne delle resistenze e la lingua nazionale è difesa e promossa (con tanto di proposte sostitutive degli anglicismi), in Italia al contrario agevoliamo questo fenomeno introducendo un anglicismo dietro l’altro, a costo di inventare ridicoli pseudoanglicismi. A farlo sono i giornali, la tv, gli imprenditori, i politici, gli scienziati, i tronisti della Rete… tutti si elevano e si identificano tra loro riempiendosi la bocca di parole inglesi che non sono più separate dalla nostra lingua,m a ne vengono inglobate in un fenomeno di creolizzazione lessicale. In questo sputazzamento dell’iglese ostentato come lacultua, si ce lainvece la profonda ignoranza dell’italiano e il suo disprezzo.

          L’itanglese è questo. E va interpretato appunto in un fenomeno globale più ampio, e nella nostra follia visto che ci vergogniamo della lingua italiana, che invece all’estero gode di un fascino enorme, e stiamo distruggendo il nostro patrimonio linguistico: incapaci di farlo evolvere e reinventare stiamo solo importato neologismi in inglese.
          Ieri sera Giuseppe Conte ha parlato di lockdown di cashback, di stakeholders, di step… questo è il suo modo di parlare e queste sono le parole che usa nel rivolgersi agli italiani (quanti avranno capito stakeholders, tra l’altro con la s finale?)

          Questa è la strategia degli Etruschi, che si sono sottomessi alla romanità da soli, fino a estinguersi e essere inglobati dai Romani senza alcuna sottomissione militare, si sono sottomessi da soli a quella cultura che percepivamo evidentemente come superiore. E noi siamo come loro, o come l’Alberto Sordi di Un americano a Roma.

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          • A proposito, avevo scoperto che Trabant fece una conferenza sulla discussione della diglossia neomedievale persino a Torino l’anno scorso.

            Inoltre visto che hai menzionato Giuseppe Conte, che utilizza regolarmente l’itanglese (nonostante egli stesso conosce ben 5 lingue diverse, italiano compreso), é possibile che lui nel corso della sua esistenza si sia formato soprattutto su materiali e ambienti di matrice anglo-americana ? Altrimenti come si spiega la sua “americanizzazione” mentale (visto che la lingua influisce sempre sul pensiero) ? Stesso discorso anche per tutti i famosi negazionisti della lingua (in particolare Antonelli e Gheno) e quindi gli anglo-puristi.

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            • Credo che un po’ tutta la nostra classe dirigente si sia formata così, come se l’inglese fosse LA monocultura, e tutto il resto insignificante. Una volta i politici avevano una formazione classica, oggi vengono dal marketing e dall’imprenditoria e parlano questo linguaggio. Non che il politichese del Novecento fosse meno oscuro, però non era anglicizzato, oggi il nuovo politichese è basato sull’itanglese. Ho definito scherzosamente “anglopurismo” la posizione di chi sostiene che gli anglicismi hanno sempre una sfumatura diversa rispetto all’italiano, sono quelli che appelandosi a un “uso” spesso fantomatico e comunque passeggero, relegano l’italiano ai suoi significati storici, (come i puristi di una volta) non vogliono che i significati storici si allarghino; e alla fine preferiscono importare le cose nuove in inglese, e dire per es. che autoscatto o calcolatore evocano le cose di una volta: nelle lingue sane invece le parole allargano il loro significato, si evolvono, non si cristallizano a designare il vecchiume. I “negazionisti”, come li ho chiamati a volte, sono invece coloro che negano che esista l’anglicizzazione, oppure che negano che costituisca un problema, non si capisce su quali dati, visto che le loro argomentazioni sono molto deboli. Non sempre coincidono con gli “anglopuristi”. Comunque di solito sono tutti angloentusiasti, per certe persone gli anglicismi sono un segno di modernità e di internazionalismo e li preferiscono. Meglio chi dice chiaramente che preferisce parlare in itanglese, rispetto a chi lo fa e sostiene contemporaneamente che non esista.

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          • Sì, non è un apprendere una lingua straniera, ma come scrivi ‘creolizzazione’,
            é un atto di prepotenza: sulla lingua, sulla tradizione, sulla cultura, e sulla bellezza. Sulla libertà! Che un ragazzo non possa in modo analogo imparare l’ARABO, una lingua sensuale ed elegante millenaria, il tedesco, di cui la filosofia e musica classica è impregnata, è una violenza sulla sua libertà. Ma è avviato inevitabilmente con la lingua inglese, ed inconsciamente, alla strada tecnico scientifica: anglosassone.

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  8. Mamma mia, hai elencato anche alcune cose che non avevo mai sentito e che non capisco nemmeno cosa vogliono dire! ma è possibile?? tutto questo si espande veramente peggio del coronavairus!
    I giornalisti veramente inseriscono nel discorso parole inglesi con una disinvoltura allarmante. L’altro giorno ho sentito una cosa e ho pensato che te la dovevo dire, ma ora non ricordo più. Era veramente assurda, non era nemmeno una di quelle solite. se mi verrà, ti dirò.
    Intanto auguroni!

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  9. Professor Zoppetti, ogni mia molecola è d’accordo con quanto lei scrive in difesa dell’Italiano, la lingua più bella e ricca del mondo. Sono un ex giornalista, nel senso che mi sono dimesso dalla corporazione anche perché non sopportavo più l’italiese di troppi miei colleghi più o meno semianalfabeti. Mi dica (o scriva) solo cosa posso fare in questo senso, Per quanto mi concerne ho da tempo preso l’abitudine di non rispondere a chi non mi parla nella mia lingua. Cordiali saluti. Piero Bottali

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