“Diciamolo in italiano” non è solo un luogo di riflessione sull’anglicizzazione della nostra lingua e un’agguerrita lotta contro l’abuso dell’inglese. L’altra faccia della medaglia riguarda il come usare l’italiano. Per questo, un anno fa, queso sito è stato affiancato dal Dizionario AAA delle Alternative Agli Anglicismi.
Nell’entrare nel terzo anno di vita ho aggiunto un altro pezzo al mio progetto per la promozione della nostra lingua. Si chiama “L’italiano corretto” e non è solo una grammatica tradizionale (con un indice analitico di oltre 400 voci). Raccoglie molti dubbi sull’italiano scritto (“gli” può essere utilizzato anche per il plurale al posto di “loro?”, perché si dice “sopra di noi”, ma “sopra il tavolo”?) e parlato (i dubbi di pronuncia e gli elementi base della dizione), sfata alcune leggende grammaticali (come quelle per cui non sarebbe possibile iniziare un frase con “che” o con “ma”), si sofferma su alcune delle questioni più aperte della lingua del nuovo Millennio (la diatriba su “se stesso” o “sé stesso”, la femminilizzazione delle cariche e il sessismo della lingua), e va oltre la grammatica raccogliendo le principali norme editoriali che riguardano la scrittura professionale (l’uso corretto delle d eufoniche, qual è il modo più corretto di scrivere le sigle tra maiuscole e puntini? Quando si usa il corsivo?).
Ringrazio anticipatamente tutti coloro che ne diffonderanno l’esistenza e ne aiuteranno la circolazione.
La speranza è che, come gli altri siti del circuito, questo lavoro possa essere un sostegno concreto e gratuito per tanti.
Inevitabilmente, alcune questioni della grammatica si intrecciano anche con il tema degli anglicismi. Per esempio l’uso dell’articolo il davanti alle parole inglesi che cominciano con “w”, uno strano fenomeno che rappresenta una violazione delle regole dell’italiano.
Perché diciamo “LO uomo” ma IL “work in progress”?
Le regole che normano l’uso degli articoli riguardano la pronuncia delle parole, più che la loro grafia. E infatti l’uso dell’apostrofo è consentito davanti alla lettera “h”, che è muta (l’hangar e l’html), o davanti a espressioni come l’8 marzo (come se iniziasse per “o”) o l’Fbi (la pronuncia attuale è “effebiài”, anche se nei vecchi film si pronunciava all’italiana: ”effebi-ì”).
Nelle grammatiche storiche e moderne, davanti a vocale è prescritto l’uso dell’articolo “lo”, e non certo “il”, ma anche se i libri di testo scolastici perlopiù tacciono sulla questione, questa regola va invece riscritta prendendo nota di un’eccezione: davanti alle parole inglesi che cominciano per “w” si usa ormai l’articolo il. Al posto del più corretto “l’whisky” e “gli whisky”, diciamo il e i whisky. Questo affermarsi di un uso grammaticalmente scorretto è diventato la norma, con il curioso risultato che diciamo l’uovo e gli uomini, ma il work in progress o i walkie-talkie, anche se hanno lo stesso suono.
Ho provato a interrogarmi sul perché di questa stranezza e di questa violazione delle norme storiche, e la premessa è che nella nostra lingua i suoni in “u” seguiti da vocale a inizio parola sono davvero esigui. Tra le poche voci registrate dai dizionari c’è “uigùro” = “relativo o appartenente alla popolazione degli Uiguri” (Devoto Oli) che come da vocabolario richiede l’articolo “gli”, al contrario dei weekend. Oppure c’è “ué”, un’interiezione che se dovessimo articolare prevedrebbe lo ué e non certo “il ué”.
A dire il vero anche le parole maschili che iniziano con doppia vocale sono molto rare, ma negli altri casi non si registrano violazioni: a parte la questione dell’apostrofo, diciamo lo aiutante esattamente come lo aikido, oppure lo oitanico (relativo alla lingua d’oil) come lo oui francese, lo iettatore e gli uadi (le formazioni geologiche a reticolo caratteristiche di alcuni deserti che sono le tracce dei letti di antichi fiumi).
La stessa anomalia fonetica si ritrova nelle parole che cominciano con “sw“, dove la “w” è percepita come consonante e non come vocale, dunque si dice lo swing ma il suino, lo swap ma il suocero, anche se il fonema è lo stesso (le regole prevedono lo davanti a s impura, cioè seguita consonante: lo specchio).
Mi pare che la ragione dell’anomalia dell’articolazione della ”w” inglese parta dalla bassissima frequenza di questi suoni, ma vada ricercata nella curiosa storia della “w”, l’unica delle cosiddette lettere straniere a essere veramente tale, visto che le altre erano presenti nell’italiano storico, o nel greco e nel latino, e che la “j” (stupidamente chiamata “jay” persino nelle lezioni dei maestri delle elementari) era utilizzata normalmente ancora nell’Ottocento (majale, principj, personaggj, jella) per indicare appunto la “i lunga”, come si chiama e si pronuncia in italiano (Jacopo, Jolanda, junior, ex Jugoslavia).
La storia della lettera “w”
La “W”, come abbreviazione con il significato di viva, risale almeno all’Ottocento; apparve nel Risorgimento sui muri di varie città del nord, per esempio nelle scritte “W Pio IX” o “W Verdi”, e dietro l’omaggio al celebre compositore si dice celasse l’acronimo patriottico anti-austriaco di viva Vittorio Emanuele Re D’Italia. Ma a parte questo uso, le parole con la “w” ci arrivavano non dall’inglese, ma dal tedesco (nei Promessi sposi la “w” ricorre solo nel nome del tedesco Wallenstein) e le abbiamo per questo sempre pronunciate “v”: wagneriano, walzer, il giovane Werther…
Bisogna anche tenere presente che fino all’Ottocento l’inglese è rimasto una lingua a noi completamente estranea e sconosciuta, tanto che persino le traduzioni dei romanzi venivano fatte non in modo diretto, ma di seconda mano dalle traduzioni francesi, e una città come New York, in passato, in italiano era più semplicemente Nuova York.
Le prime parole inglesi con questa lettera ci sono arrivate soprattutto per via scritta, e le abbiano dunque sempre pronunciate “v”, come eravamo soliti fare e come ancora facciamo per esempio nel caso dei nomi Walter e Wanda, oppure di watt (1895), wafer (1905) e water (closet), tutt’ora pronunciati all’italiana, con la “v”, come del resto i derivati wattometro e wattora che perciò richiedono giustamente l’articolo “il”.
Anche whisky (1829) o Waterloo in passato si pronunciavano con la “v” (il Devoto Oli riporta ancora oggi la pronuncia all’italiana di “vaterlo”), ma quando le stesse parole hanno cominciato a essere dette all’inglese soprattutto per l’influsso del cinematografo (per via orale), si erano già affermate nell’uso scritto con l’articolazione basata sulla vecchia pronuncia.
La prova di questo assestamento si può rintracciare nel fatto che quando è emerso il problema si sono registrate delle oscillazioni per esempio tra l’whisky e il whisky, e negli anni Sessanta alcuni linguisti come Tagliavini consigliavano la prima forma. Ancora oggi si ritrovano tracce di espressioni come “gli western” che cercando su Google libri sono molto diffuse anche nei libri odierni (negli western, degli western…), accanto a i western. Ma ormai questi tentativi di conservare le nostre regole sono sempre più rari e l’eccezione è entrata nell’uso.
Si può allora ipotizzare che la causa della violazione delle nostre norme sull’articolo (agevolata dalla bassa frequenza delle analoghe parole italiane) sia da rintracciare in questo passaggio per istintiva coerenza con ciò che si era già stabilizzato e per successiva imitazione. La “w” è rimasta percepita come consonante anche quando ha finito per essere pronunciata come vocale, e così, mentre continuiamo a dire il “water” alla vecchia maniera, una forma storica che rimane anche in WC (ma che è saltata nel caso di waterpolo), tutte le nuove parole importate dall’inglese sono invece entrate con la pronuncia “u”, ma mantenendo la vecchia articolazione: il welfare, il windsurf, il web, il wi-fi, il wireless e così via per tutte le altre parole inglesi.
NB: Wikipedia, però, deriva da una radice hawaiana (“wiki” = veloce) dove la lettera “w” si legge “v”, dunque la pronuncia rispettosa dell’etimo dovrebbe essere “vichipedìa” e non all’inglese “uikipìdia”.
Spero bene che si rimandi alla pronuncia v in Waterloo, non avendo nulla a che fare con l’inglese infatti, la pronuncia di riferimento è quella belga vallona in questo caso.
Una cosa che mi irrita terribilmente è la mania degli italiani di pronunciare all’inglese qualsiasi parola straniera, nomi propri compresi, a prescindere dalla lingua d’origine specifica; nel caso non si sappia la pronuncia corretta, capisco piuttosto una pronuncia all’italiana che non all’inglese.
Saluti 😀
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Sì in effetti perlopiù si ignora che Waterloo non è inglese (dovrebbe avere l’accento sulla “o” finale in vallone), anche perché essendo vittoria degli inglesi soprattutto ci è arrivata dalle loro fonti alla loro maniera, tanto che è di gran lunga entrata nell’uso. Tra le poche parole con la W in francese c’è wagon lit, che è analogamente spesso pronunciato come un anglicismo, come wagon restaurant, altro francesismo,
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Ti sostengo senza “se” e senza “ma”, come si suol dire oggi 🙂
Waterloo per gli anglofoni è una parola dannatamente buffa, tuttavia il sottoscritto si farebbe ammazzare (la Guardia muore ma non si arrende) piuttosto di pronunciarla all’inglese: per me è e resterà sempre un toponimo fiammingo, e in quella lingua la w equivale alla nostra v e oo è solo una o un po’ più lunga.
Buona giornata 🙂
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Grazie Claudio! 🙂 Waterloo è forse il simbolo anche della sconfitta dell’italiano? 🙂 Aggiungiamo anche la pronuncia di “stage” all’inglese, sempre più diffusa
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In italiano Waterloo è sinonimo di disfatta (siamo filonapoleonici), speriamo che questa volta la sconfitta sia tutta inglese 😉
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non lo so… io continuo la mia resistenza. Però i dizionari haimé, riportano anche le pronunce errate… il Devoto Oli affianca “uàterlo” (un ibridone mezzo inglese e mezzo italiano che corrisponde appunto a come è entrato nell’uso da noi) e lo Zingarelli opta per 3 pronunce differenziate, italiana, francese e inglese (con anche la U finale).
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Il problema è che i dizionari, invece di essere normativi, si limitano a rispecchiare l’uso concreto (e la stragrande maggioranza, purtroppo, pronuncia “uaterlu” o qualcosa di simile, senza neppure perlomeno consigliare quella che dovrebbe la pronuncia corretta. Quando in televisione sento “baddenbruk” per i Buddenbrook di Thomas Mann rischio un ictus!
Resisti, Antonio, ti sosteniamo 🙂
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Non solo i dizionari, anche i linguisti, ma solo quando conviene loro. Nel caso degli anglicismi spesso si appellano all’uso per assolverli, quando invece si parla di femminilizzazione delle cariche non disdegnano di essere prescrittivi, come nel caso delle parole politicamente corrette, anche a costo di snaturare l’uso storico, oppure in quello assurdo del rinnegare l’uso affermato di “se stesso” e di passare a “sé stesso”, certo razionale, ma dannatamente prescrittivo e contro l’uso. Aggiungiamoci anche la condanna del “piuttosto che” disgiuntivo… per carità concordo! Ma anche in questo caso l’uso nuovo viene condannato e ritorna il prescrittivismo… E allora non potrebbero essere più prescrittivi anche di fronte all’abuso dell’inglese?
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A me una volta è perfino capitato di sentir dire “nòbless òblaig”… :-O
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😀
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Anche i “Buddenbrook”
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Scusa, Gretel, ieri ho fatto un commento proprio sui “Buddenbruk” (Badden… ancora non mi è capitato, ahahah) e non mi ero accorta del tuo, che tra l’altro è fedele alla pronuncia errata, mentre il mio no 🙂
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Che vuol dire palcoscenico. È una cosa ridicola!
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Concordo con il risultato, anche se non per la motivazione, visto che non è fiammingo, ma vallone (anche se preferisco il fiammingo) 😉.
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Giusto, grazie della precisazione 🙂
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Su Waterloo, in fondo, gli unici che ci azzeccano sono i francesi.
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A proposito dell’articolo davanti alle parole inglesi in w- c’è da aggiungere che gli anglofoni considerano quella lettera una semiconsonante: l’attacco di parole come warm e want forse (forse) è più simile a quello di vuoto che a quello di uomo. Cambia molto se la w è seguita da h: who e which si pronunciano in modo diverso. Whisky ha origini gaeliche e francamente non saprei dire se la pronuncia corretta sia pìù vicina a quella di which o a quella di with.
L’unica cosa che so per certa è che l’inglese di oggi farebbe inorridire Shakespeare, per come viene pronunciato e anche per come viene articolato 😀
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Giusta osservazione, ma nelle pronunce all’italiana credo che queste distinzioni (almeno er ora) non esistano, e non credo sia questa la causa dell’articolo cambiato nella nostra lingua. Però non lo so, sulle cause ho fatto le miei ipotesi, in realtà non ho trovato testi che si soffermassero sui perché, e ho solo espresso l’idea che mi son fatto.
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Penso che conti soprattutto l’effetto psicologico della w che un tempo era intesa principalmente come consonante propria della lingua tedesca.
Annotazione a margine: una mia amica milanese mi ha raccontato che i suoi genitori usavano dire “piazza vagnèr” (gn come in agnolotto) per riferirsi alla piazza intitolata al musicista del Tristan-Akkord…
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Confermo l’antica pronuncia all’italiana; ricordo mio nonno che quando avevo 6 o 7 anni un giorno mi disse: ricordati che Vagner non si pronuncia come gnocchi! Io non sapevo chi fosse, e rimasi perplesso, ma rammento che me lo disse con il tono di uno che rivela qualcosa che pochi conoscono.
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Scommetto che oggi nove italiani su dieci non sappiano chi fosse, e che se dovessero leggerne il nome lo pronuncerebbero all’inglese: Riciar Wogna o qualcosa del genere 😀
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Comunque senza passare per eretico, storpiare i nomi a seconda della propria parlata non è così assurdo, ed è frequente soprattutto nella lingua inglese. Un amico scrittore che insegna a Londra, Stefano Jossa, è chiamato dai suoi studenti “Giossa”, così come Trump a quanto pare chiama “Giuseppi” il nostro forse prossimo neo-presidente del consiglio Conte.
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Ecco, come dicevo prima, riprodurli nella PROPRIA parlata non lo trovo assurdo, anche se non corretto, storpiarli in un’ALTRA parlata è perverso. Succede poi anche di essere corretti se si pronuncia correttamente, tipo quando dico Porsche (dove ovviamente si pronuncia anche la E finale, vengo regolarmente “bacchettata”: Porsch….
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Hai perfettamente ragione… aggiungiamo anche robot come fosse inglese, che un tempo era altrettanto immotivatamente pronunciato “robò” alla francese. Io purtroppo non conosco il tedesco, né mi potrò mai permettere una Porsche (non corro il rischio di sbagliare).
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Ma certo. E i francesi non sono da meno, vedi il “Foss” (Faust) di Gounod. Resta l’assurdità, che hai rilevato prima, di un italiano che non conoscendo l’origine di una parola la pronuncia all’inglese.
A proposito, mi è venuto in mente che fra sette giorni cadrà il 450enario della morte di Pieter Bruegel il Vecchio: in Italia la pronuncia più diffusa del suo cognome è alla tedesca (in realtà si pronuncia all’incirca broehel, con -oe- come in Goethe e -h- molto aspirata), ma ho un certo timore che i nostri telegiornalisti siano capaci di inventarsi qualche stupidaggine pseudoinglese… 😀
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E quando pronunciano Pieter all’inglese, come Peter?
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Per fortuna non pronunciano pàita: 🙂
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Non hai idea delle innumerevoli varianti che il mio cognome è costretto a subire…
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Ma la grafia “Bruegel” è corretta? O bisognerebbe usare la ü? Assomiglia al “caso Schoenberg”, in cui bisognerebbe usare la ö. Me lo chiedo perché io soffro di una malattia cronica, detta “Morbo di Bürger”, che gli stessi medici storpiano in “Buerger”.
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Ah, abbiamo dimenticato il povero Vincent dall’orecchio monco!
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Non so se capisco bene cosa intendi, Bruegel (l’alternativa è con l’acca, credo, ma mi affido ad altri più esperti) comunque non è tedesco, erano fiamminghi i due pittori. Invece Bürger tedesco, o Schöneberg, possono anche essere scritti Buerger e Schoeneberg se uno non sa trovare nella tastiera le lettere con l’Umlaut, sempre molto meglio di Burger e Schoneberg che sono sì sbagliati. I cognomi spesso sono ancorati a vecchi grafismi (all’incontrario Goethe non puoi scriverlo Göthe).
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Non è poi così difficile trovare le famose “scorciatoie da tastiera” pigiando su Alt e un numero sul tastierino alfanumerico.
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No, mi riferivo al nesso vocalico “-ue-“, ma come giustamente mi hai fatto notare si tratta di un nome fiammingo (il ceppo è comunque quello delle lingue germaniche, no?). Domanda: come mai scrivi Schöneberg e non Schönberg? Io mi riferivo al compositore… E grazie per la precisazione su Goethe, ma spero che tu non sia incappata mai in uno svarione simile! Altro che ictus… 🙂
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E tuttavia… i nostri giornalisti televisivi pronunciano CIAMP!
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Esatto, Presidente del Consiglio e non “premier” 😉
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Ma che bello, Claudio, leggere di qualcuno che conosce la pronuncia di “wh-“!!!
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Claudio, a proposito del superalcolico: c’è “whisky” e “whiskey”, e la diversa grafia dipende sia dalle origini geografiche (il primo sarebbe quello scozzese, il secondo quello irlandese) che dalle diverse tecniche di lavorazione. Negli USA, poi, è “whiskey”, ma in Giappone e in Canada è “whisky”. Anche in questi casi, forse la grafia dipende dalla lavorazione, ma non lo so.
Un’altra piccola osservazione: se per stabilire la pronuncia corretta di ogni parola si dovesse risalire all’etimo originale, ci troveremmo sempre come in una specie di “conflitto israelo-palestinese”… Non se ne esce più 😀
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So che alla televisione tedesca, almeno una volta, esisteva un ufficio a cui i giornalisti si rivolgevano per informarsi sulla pronuncia di nomi stranieri (ho notato che pronunciano il nome di Greta Thunberg non del tutto correttamente, ma sempre meglio dei giornalisti italiani). Questo è il problema: non il non sapere (è normale non sapere tutto, tanto meno conoscere decine di lingue), ma sentirsi in dovere di informarsi.
Il sito Forvo non mi dispiace: https://forvo.com/
PS. Dimenticavo: quella della jay è una lotta che combatto quotidianamente anch’io! Mi manda su tutte le furie.
PS2.. Antonio, la Porsche non ce l’ho nemmeno io, ma chiedi pure, se ti serve qualcosa riguarda il tedesco 🙂
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Grazie, Forvo me l’ha fatto conoscere Claudio Capriolo dopo uno scambio sulla pronuncia corretta di Georges Méliès, prezioso. Approfitterò per il tedesco allora, in caso di emergenza, magari via post@ perché il tuo blog mi risulta abbandonato, poi non so se ne hai altri.
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Volentieri (sì, non bloggo più, è stato solo un breve divertissement)!
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Forvo è utilissimo.
Una volta i giornalisti Rai erano tenuti a consultare il Dop, Dizionario di ortografia e pronuncia, che oggi esiste anche in versione digitale a questo indirizzo:
http://www.dizionario.rai.it
Per quanto riguarda l’italiano è ottimo; contempla anche un certo numero di parole straniere d’uso corrente.
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Be’ sì il DOP ha fatto scuola in Rai, anche se adesso è cambiata l’impostazione verso la dizione sovranazionale in tv. Forvo è utile soprattutto perché contiene i nomi propri che sfuggono ai dizionari, vedi per es. la pronuncia corretta di Istàmbul, a proposito di come nel caso dell’inglese guai a sbagliare la proununcia o a italianizzarla, mentre nel caso delle altre lingue sembra che non sia importante…
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Io uso il Dizionario di Pronuncia Italiana di Luciano Canepàri (DiPi) edito da Zanichelli.
C’è da dire che bisognerebbe aver fatto studi linguistici in particolare sulla fonetica.
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La Zanichelli è sempre una garanzia, comunque anche i classici dizionari monovolume riportano le pronunce che si possono anche ascoltare nelle versioni digitali. Io mi occupai della prima versione del Devoto Oli in cd-rom, nel 1992, con una selezione di 20.000 parole dalla dubbia pronuncia (s/z sorde sonore…) che avevamo fatto leggere ad attori perché nell’edizione Dos non era possibile riprodurre i caratteri speciali che indicavano le pronunce del cartaceo. Fu il primo dizionario digitale, e il primo lavoro del genere che si appoggiava all’audio,. Era stato ipotizzato ed eslcuso nel 1989 nel Veli (un prototipo di dizionario elettronico su due dischetti rigidi di Tullio de Mauro) ma a quel tempo sarebbe stato irrealizzabile tecnicamente. Seguii per una settimana queste letture in uno studio di registrazione… e alla fine Oli, che all’epoca era ancora vivo se le ascoltò tutte, credo, e ci bacchettò perché ne avevamo sbagliate una decina, tra cui ricordo “campesino” che avevano letto erroneamente con la “s” sonora invece che sorda, alla toscana.
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Antonio, il mio DiPi è monovolume. Per le lingue straniere, ripeto, bisogna conoscere gli alfabetici fonetici internazionali. Nei migliori dizionari (per dire… la versione base dello Zingarelli) c’è la trascrizione fonetica. Per le altre lingue ho dizionari equivalenti e avendo studiato fonetica me la cavo! Inoltre, per motivi professionali (sono traduttrice ed editor) ho risorse cartacee a volontà! 🙂
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Scusa, intendevo “alfabeti”
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Meglio http://www.comesipronuncia.com (o .it?)
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Grazie, non lo conoscevo!
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dissento
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Dici che è meglio Forvo? Io non so il tedesco: solo inglese e francese.
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A prescindere da lingue specifiche, in generale mi sembra più completo e affidabile forvo. Uno studio contrastivo prolungato a riguardo non l’ho fatto, comesipronuncia non lo uso quasi più. Poi uno fa quello che ritiene.
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Intendi comparato?
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Libera di!
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.it
Allora, l’ho messo subito alla prova con uno dei nomi più difficili che conosca (un musicista, ovviamente: Musorgskij) e ha toppato. Quindi non mi fido 🙂
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E bravo, Capriolo. Io quel sito lo uso solo per l’inglese. Parola di traduttrice. Poi… fate vobis
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Ma guarda che ti credo: mai pensato di mettere in dubbio la tua parola di traduttrice 🙂
Sentita la differenza fra
https://www.comesipronuncia.it/pronuncia/modest-petrovic-musorgskij-modest-petrovich-mussorgsky-2431
e
https://it.forvo.com/word/мусоргский/#ru
?
Quasi non sembra la stessa parola…
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Mi pare che su forvo ci si debba registrare, cosa che io non faccio MAI, da nessuna parte, perciò non ho potuto ascoltare la pronuncia.
Certo, se hai cercato proprio мусоргский non ho commenti. Io, come ho detto, l’altro sito lo uso solo per l’inglese, insieme ad altri. Non traduco dal russo! (però mi dicono che la notte ogni tanto… russo 😀 )
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Non sono registrato su Forvo.
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Hai ragione. Ieri mi era apparsa una strana schermata (avrò sbagliato io qualcosa), oggi è tutto a posto 😉
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Ora ho ascoltato. In effetti anche io sapevo che l’accento va sulla “u”.
Comunque, tutti questi siti vanno presi con le pinze perché usano la pronuncia di persone reali di cui non sappiamo nulla. D’altra parte, il problema si pone anche con quelli di cui, almeno, vediamo la faccia… 😀
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In certi casi subentra la questione dell’etimologia popolare: difficilmente si comprende che il cognome di Greta è, praticamente, un composto di Thun + berg, e forse allora viene spontaneo adottare la pronuncia inglese di “thumb”. E sarei curiosa di sapere se pronunciano una “n” (correttamente) o una “m”, visto che in italiano la “b” dovrebbe essere preceduta dalla “m”…
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Al di là che non vedo paretimologie, l’unica questione è che è svedese e non inglese, punto. Detto molto all’incirca, la u svedese è di solito molto stretta, simile a una ü tedesca, e berg si pronuncia approssimativamente beri. Curiosamente i tedeschi dicono ü, pronunciando il cognome di Greta, ma poi berg lo pronunciano alla tedesca. Io sono già contenta se alla tv italiana lo pronunciano all’italiana e non all’inglese.
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E che c’entra… sempre di paretimologia potrebbe trattarsi (per gli italiani). Solo questo, intendevo dire.
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Non capisco, scusa, di che etimologia (falsa) parli (somiglianza, interpretazione della parola, intendi?), ma non importa.
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Gretel, non ho palrato di emtimologia “flasa”. No, parlavo proprio di paretimologia, solo che se mi parli dello svedese vado in confusione 🙂
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* falsa
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Ecco cosa intendevo, Gretel. Per fortuna ho trovato questo paragrafo nel manuale su cui ho studiato linguistica storica, che ovviamente dà una spiegazione chiara e ampia, di certo migliore della mia:
“Un elemento di questo genere che ha conosciuto uno sviluppo negli ultimi decenni è il suffisso inglese -burger In tedesco –er è un comune suffisso per la formazione di aggettivi derivati da toponimi, come in Berliner ‘berlinese’, Wiener ‘viennese’, Frankfurter ‘di Francoforte’. Alcuni di questi aggettivi venivano anche utilizzati per denominare particolari piatti tipici di una certa città, come Frankfurter (un tipo di salsiccia). La stessa sorte aveva avuto la parola Hamburger, ma una volta importata negli Stati Uniti, questa forma era stata reinterpretata come contenente la parola ham ‘prosciutto’ (benché il prosciutto non sia un ingrediente degli hamburger). Di conseguenza, la seconda parte della parola è stata reinterpretata come suffisso che denota un particolare tipo di bistecca, e utilizzata in altre forme come cheeseburger, fishburger, e via di seguito. Processi di questo tipo, in cui una forma viene interpretata in base a quella che si suppone sia la sua origine (come qui, ham + burger) vengono detti etimologie popolari”.
W. P. Lehmann, Manuale di linguistica storica, il Mulino, 1998, pag. 266
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… da cui “thumb + berg”
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Cosa vuol dire “thumb + berg”? Non capisco ancora, forse il mio inglese è troppo limitato, ma per me qua si tratta, in caso, di assonanza – formale – a parole inglesi, non paretimologia (sicuramente l’esempio di hamburger, riportato da Lehmann, è una paretimologia, ma qua non vedo l’individuazione di un’etimologia, falsa o vera che sia, che riguarda più il piano del significato che non della forma – tanto più in un cognome che perlopiù non ha significato). Ti copio la definizione dalla Treccani:
“paretimologìa (o paraetimologìa) s. f. [comp. di para-2 e etimologia]. – In linguistica, etimologia apparentemente plausibile ma senza fondamento scientifico: consiste in genere in un accostamento, sul piano sincronico, di due vocaboli che in realtà hanno etimologia diversa (per es., manometro a mano, anziché al gr. μανός «poco denso»), e costituisce un fenomeno comunissimo nell’attività linguistica di ogni parlante, per cui si hanno talvolta slittamenti indebiti nel significato di alcuni termini (v. per es. obliterare nel sign. 3). Se una etimologia di questo tipo viene accettata per vera da una intera comunità di parlanti, è più propriam. detta etimologia popolare.
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È solo un sospetto che mi è venuto, sulla base delle informazioni che avevo riguardo alle “degenerazioni” di nomi come hamburger (ham, inglese + burger, tedesco).
Passando a [ˈgreːta ˈtʉːnˌbærj], ho pensato a:
– thun, tedesco + berg, tedesco (Thun è un borgo della Svizzera tedesca nell’Oberland Bernese). Tra l’altro, mi pare che in tedesco thun possa essere tradotto con “tonno”.
Anche in svedese, è lo stesso toponimo.
– thumb, inglese + burg, tedesco (e questa strana accoppiata mi è venuta in mente solo per gli italiani: così come gli americani hanno scomposto hamburger in ham, prosciutto + burger, gli italiani, così, a orecchio, potrebbero aver scomposto il cognome di Greta, per facilità di pronuncia, in thumb, pollice + berg; in italiano prima della “b” si mette la “m” e da lì potrebbe derivare l’errata pronuncia del cognome di Greta.
Non ci fare caso, io navigo a vista, e a orecchio… 🙂
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Etimologia falsa, popolare o paretimologia è la stessa cosa, qua io non la vedo, ma comunque non penso che importi, stiamo uscendo troppo dal “seminato” su cui Antonio vuol puntare i riflettori, passo e chiudo 🙂
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